il Giornale, 7 ottobre 2019
Biografia di Antonio Valentino Angelillo
È una storia d’amore, maledizione, solo una storia d’amore, possibile che nessuno lo capisca!
«Presidente, digo che la chica puede esser el enemigo se non viene domata. È santa se rispettosa, demonio se scatenada. Quante volte ho dovuto andare a casa di quel giocatore e fare alla chica questo discorso». Firmato Helenio Herrera. Inizio o fine di Antonio Valentin Angelillo, l’angelo ripudiato. E ogni riferimento a cose o persone dei giorni nostri non è puramente casuale.
Di Baires, quartiere del Parque Patricio a due passi dal campo dell’Huracan, papà macellaio, a sei anni gli mettono sulle ginocchia un bandoneòn e impara a suonarlo, giocava nell’Arsenal de Llavallol, a 18 anni il primo ingaggio al Racing Avellaneda, a 19 nel Boca Juniors, a 20 uno dei carasucias, gli angeli dalla faccia sporca, lui, Humberto Maschio, Oreste Corbatta e Omar Sivori, dominatori a Lima del Sudamericano, 3-0 al Brasile che stravincerà il mondiale del ’58 in Svezia. Il massaggiatore vedendoli stanchi e con la faccia tutta infangata lì definì così, figli di buona donna con la cara sucia. E tre di loro arrivano da noi.
Lui vent’anni e un paio di baffetti alla Clark Gable, la brillantina sui capelli neri e lucenti, un tangueiro con i pennelli al posto dei tacchetti che Angelo Moratti il 2 luglio del 1957 porta all’Inter per 95 milioni al fianco di Benito Lorenzi, Lennart Skoglung e Oscar Alberto Massei, centravanti in un attacco formidabile. Origini lucane, il nonno di Rapone, qualche centinaio di abitanti nella provincia di Potenza. Prima stagione da dimenticare, Angelo Moratti si era subito pentito, aveva confidato come dall’Argentina gli avessero rifilato un altro giocatore. Fanno tutti i controlli del caso, tutto vero, la mezz’ala, ma anche il mediano, il terzino e soprattutto il centravanti sono proprio l’originale, salutato in patria il nuovo Di Stefano. Ma deve arrivare con un piroscafo suo padre per convincerlo a non fare le valigie per tornarsene terrorizzato a casa. Non funziona niente, per l’Argentina è un traditore sfuggito alla leva e gli negano pure il permesso di rimpatrio quando l’Italia non concede al’Afa il nullaosta per poterlo schierare in Svezia. All’Inter poi il ragazzino non è affatto ben visto, osteggiato senza mezzi termini, Benito Lorenzi, alla sua ultima stagione, non lo vuole in squadra, e Veleno conta molto. Girone d’andata deludente, grande nel ritorno, 16 gol e Moratti quasi se ne innamora vedendo le belle signore che a San Siro emettono gridolini di gioia quando prende la palla, ogni tocco una storia d’amore. Ma il milongueros è triste, Veleno gli nega la palla e gli fa smorfie da bambino scemo: «Segno ma non mi vogliono». Nella stagione successiva, in una serie A a 18 squadre, 33 partite e 33 gol, record, adesso cambia tutto, anche se lui resta con i suoi pensieri. Suscita un clamore morboso e invidia per i suoi piedi che sembrano mani, ma gli mancano la mamma e i filetti al sangue, Angelo Moratti sente che deve fare qualcosa, lo vuole felice, la Milano nerazzurra è ai suoi piedi, gli dà la fascia, non basta. È la bella èpoque nazionale, dopo le miserie degli anni ’30 e le paure degli anni ’40, deflagra il boom economico, c’è un’altra Italia, Milano è lo specchio della rinascita e Angelillo non poteva capitare in un momento migliore, c’è dentro fino al collo, deve capirlo. Allora scatta l’operazione spensieratezza, si parte dal look, gli dice di tagliarsi quei baffetti che qui non si usano. Angelillo gli confida che è il suo modo ingenuo di conformarsi al resto degli italiani, papà Moratti gli spiega che non è così, e Valentin ubbidisce. Poi lo invita a vestirsi alla milanese, un damerino? No, ma quasi, per favore sorrida. La faccenda migliora ma ci vuole ancora qualcosa, la genialata, il colpo finale che però deve rimanere segreto e si affida a due calciatori della vecchia guardia, Enea Masiero e Livio Fongaro. Il presidente li chiama nel suo ufficio: «Fategli conoscere Milano, portatelo in giro, fatelo divertire. Musei? Cinema? Teatro? Quello che volete». I due ne discutono e tornano da Moratti: «Presidente, e se una sera lo portassimo al night?». Nessun problema, ma che sia il meglio, fategli tornare il sorriso, tutto pagato naturalmente, e mette nelle mani di Masiero una mazzetta alta così di carte da dieci. È la scintilla.
A Milano il meglio è la Porta d’Oro in piazza Diaz al 3, luci diffuse e separé compiacenti, soltanto a nominarlo diffonde un sentore di peccato. Donnine e Cordon Rouge, cristalli Swarovski, argenteria su tovaglie di seta, artisti, soubrette e bambole pronte a spogliarsi, Rita Cadillac, Dodo d’Hamburg, Rita Renoir con un boa al collo, Fred Buscaglione e la sua banda, Perez Prado e play boy pronti a sganciare un tot al tappo. Ma non c’è problema, vigilano Masiero e Fongaro, li fanno anche musica argentina, avevano detto a Moratti, e il presidente dorme fra due guanciali. Nel locale l’attrazione principale, o quasi, è una certa Ilya Lopez, nome d’arte della bresciana Attilia Tironi, biondo platino, capelli alla maschio, anche cantante folk e tango virtuoso, i tre al tavolino riservato in prima fila, Angelillo con due occhioni così e quando lei attacca Grazie dei fior, sbarella, perde i contatti, ancora un po’ lacrima, fulminato. Masiero e Fongaro si tirano pacche sulle spalle e ordinano un altro giro mentre Valentin in estasi conclamata la cerca mentre lei sparisce dietro le quinte. A rapporto da Moratti è un trionfo, mancia supplementare, ma la terza stagione è diversa, pochi gol, rendimento non in linea, Angelillo tutte le notti è dalla Lopez alla Porta d’Oro. In un’Italia bacchettona la faccenda si fa seria, tutti i rotocalchi parlano di loro, lei è una spogliarellista divorziata più vecchia di lui, neanche sposati, un idolo come Fausto Coppi è stato massacrato e scomunicato per qualcosa del genere, c’è subito chi ci marcia e si cucina l’angelo dalla faccia sporca, un peccatore. La svolta quando arriva Helenio Herrera, i due non si filano neanche un po’, è l’ottavo allenatore in cinque anni, Moratti non ne può più ma è in mezzo al guado e un po’ si sente colpevole. Cerca una soluzione e chiede al Mago uno sforzo. Il Boca Juniors offre 200 milioni di lire, la Roma 270, Helenio spinge per la cessione ma ubbidisce e invita la Lopez a cena. Tensione eagerata, quando torna da Moratti è un terremoto: «Presidente se ne liberi, non butti i 90 milioni che ha speso, questo ormai è finito, non fa più niente, lo mandi via da Milano». E gli sdogana la sua personalissima parabola sulle chicas.
È una storia d’amore che non capisce nessuno, maledizione. Entreneuse, spogliarellista, chissenefrega, Ilya è innamorata forse più di Valentin, se potesse lo allatterebbe. Un amico che conosce bene entrambi i contendenti esce allo scoperto: «Presidente, a tutti e due piacciono le donne in maniera esagerata, solo che l’argentino trova consensi e il Mago è invidioso, della Ilya lui è geloso».
Che botta!
Ceduto alla Roma, un giorno chiedono a Valentin Angelillo cosa ha tenuto dentro, e lui: «Herrera si era innamorato della Lopez, quella sera a cena...».
Però al suo posto arriva Luisito Suarez e a cambiare questa volta è la vita dell’Inter.