il Giornale, 7 ottobre 2019
I tesori nascosti dell’Italia
Corona in testa, ritto sul cavallo, ma non a cavalcioni: in equilibrio sul capo del quadrupede, come se il suo corpo fosse estensione di quello del suo animale. La statua del re Alarico, innalzata alla confluenza dei fiumi Crati e Busento, sta diventando il nume benedicente di Cosenza, la città che da oltre 1600 anni cerca il mirabolante tesoro del re dei Visigoti. Anche grazie al mito di questa caccia favolosa, Cosenza ha raddoppiato i suoi turisti in pochi anni. Alarico, che in vita fu sterminatore, da morto frutta più di una tassa di soggiorno.
L’ACCHIAPPA TURISTI
Dal 2011 al 2017, l’incremento del numero dei bed and breakfast è stato addirittura del 175%, del 180,6% per i posti letto. Le presenze superano ormai ampiamente le 100mila l’anno. Il 2018 ha chiuso con ampi margini positivi e le proiezioni del 2019 sono sempre rosee. Il 20% dei turisti sono stranieri. Arrivano per la Cattedrale, per il Castello di Federico II. Ma soprattutto per il fascino dell’ipotetico tesoro che, si racconta, sia il più grande mai trovato nel Paese.
È un turismo in parte costruito su una storia favolosa, e che non è un caso unico. L’Italia è una penisola di ricchezze mai trovate: conquistatori che si dovevano alleggerire, monili sepolti per salvarli dai nemici, terremoti che hanno inghiottito nella terra lingotti e pietre preziose.
La linea di questa mappa è quella serpentiforme di una terra dove spesso era saggio ritirarsi nell’interno per mettere al riparo i bottini. E l’uomo immagine della storia d’Italia attraverso i tesori nascosti è proprio Alarico. I lavori di ricerca sono ora fermi in attesa di nuova autorizzazione. Ma in città si sussurra che una buona notizia potrebbe essere l’arrivo al ministero della Cultura di Dario Franceschini che in un’altra vita governo Renzi – aveva manifestato un certo interesse per la questione del barbaro scomparso. La «questione» sarebbe, oltre alla tomba, al bellezza di 25 tonnellate d’oro e 150 tonnellate d’argento che il re dei Goti avrebbe portato via durante il sacco di Roma del 410. In assenza della Historia Gothorum di Cassiodoro di Squillace, andata perduta, la testimonianza rimasta è quella dello storico Giordane, che un secolo dopo riassunse la colossale opera del predecessore nel De origine actibusque Getarum, in questo testo il cronista bizantino narra anche la morte di Alarico: diretto a sud dopo il Sacco, il re smise di vivere forse per malaria proprio a Cosenza e sarebbe stato sepolto vicino alla confluenza dei fiumi Crati e Busento in compagnia di una cospicua parte del tesoro sottratto a Roma.
I SEGRETI DEL FIUME
I Goti avrebbero impegnato centinaia di schiavi nell’opera di deviazione del corso del Busento. Il fiume sarebbe stato fatto successivamente tornare nel suo alveo con un secondo intervento, e gli schiavi sarebbero stati uccisi perché non divulgassero il segreto. Alarico e l’oro di Roma sarebbero quindi nascosti nel letto del fiume. Nel gruzzolo ci sarebbe anche la Menorah, il candelabro ebraico a sette braccia interamente d’oro. Molti fra i turisti sono tedeschi perché fin da piccoli studiano la ballata Das Grab im Busento (tradotta in Italia da Giosuè Carducci) che narra vita, tesoro e misteri del visigoto caduto in Calabria. La fine di Alarico è insomma un mito internazionale.
Tre anni fa il sindaco Mario Occhiuto, ora in corsa per la presidenza della Regione, ha deciso di accelerare le ricerche. Il progetto prevedeva l’utilizzo di georadar e droni, era arrivato anche il benestare della Soprintendenza, poi lo stop del ministero e fine della favola. Ma il sogno non è svanito nella sorprendente antica capitale dei Bruzi, circondata da sette colli come Roma.
La storia di Cosenza ha comunque un riferimento letterario maggiormente circostanziato rispetto a un altro tesoro fantasma del sud Italia: l’oro dei Borbone. La scomparsa di un deposito equivalente a 90 milioni di euro attuali è uno dei misteri della storia dell’Unità d’Italia. Dopo l’arrivo dei Garibaldini, si volatilizzarono dal Banco di Napoli. Non li avrebbe portati con sé Francesco II detto Franceschiello, l’ultimo re di Napoli. Ma leggenda vuole che qualcosa di grosso appartenente alla famiglia dei regnanti spagnoli sia stato nascosto dalle parti di Cerignola, in provincia di Foggia. A Tressanti il padre di Franceschiello, Ferdinando II, il «re Bomba», aveva una tenuta. Ma la famiglia reale sembra fosse solita fermarsi anche proprio a Cerignola, ospite presso una famiglia. Da quelle parti bisognerebbe insomma cercare l’oro dei Borbone.
Non furono invece morti né fughe a occultare altre meraviglie di oro e argenti, ma segreti spesso mantenuti fino all’ossessione. La via dei tesori nascosti sfiora Trevi, in Umbria, dove una fittissima vegetazione cela i resti dell’abbazia di Santo Stefano di Manciano. I monaci che la abitavano erano talmente ricoperti di ricchezze che i finimenti dei loro cavalli erano in argento, e nelle notti di luna spaventavano i lupi con la loro brillantezza.
LUNGO LA MAPPA
Ci spostiamo a poca distanza, in provincia di Macerata, a Treia, un borgo di antichissima origine picena. Nel luogo in cui sorge l’attuale Santuario del Crocifisso un tempo si trovava una chiesa dove le famiglie nobili portavano in voto enormi quantità di gioielli e preziosi. Secondo i racconti del luogo, un violentissimo terremoto sbriciolò la chiesa e portò distruzione ovunque, facendo scomparire quel patrimonio.
La strada dell’oro risale verso nord. Per ridar vita all’antica Sena Gallica, Senigallia, Sigismondo della Rovere avrebbe collocato come segno di buon auspicio all’interno della cinta muraria un mattone d’oro e un prezioso monile della moglie, pare mai trovati.
Anche a Ferrara, uno spettacolare diamante sarebbe quasi sotto gli occhi di tutti, come la lettera rubata di Edgar Allan Poe. Il gioiello si troverebbe in una delle oltre diecimila piccole piramidi di pietra che ricoprono il palazzo dei Diamanti. Ercole D’Este avrebbe poi fatto mozzare la lingua e cavare gli occhi al capomastro. Intorno al Lago di Garda, tra Sirmione e Desenzano, bisognerebbe invece cercare l’enigmatico tesoro dei Catari, messo in riparo da quattro emissari scampati alle persecuzioni di Montsegur.
Molti secoli prima, più a ovest, Carlo Magno prendeva possesso con le sue truppe di tutte le terre che per più di duecento anni erano state dominio dei Longobardi, fino alla decisiva battaglia delle Chiuse. Colle Colombardo sarebbe proprio un toponimo tratto da alcuni guerrieri longobardi in fuga, che ripiegarono in questa località a oltre 1800 metri di altitudine: per mettere in salvo la propria vita e con se stessi un’enorme ricchezza. L’altura si trova tra la bassa Val di Susa e la Val di Viù.
La caccia dei tesori dimenticati incrocia anche Leonardo da Vinci. Novara, castello Visconteo: in un cunicolo murato nel cuore dei sotterranei sarebbe nascosto un cavallo d’oro. Leonardo avrebbe dovuto realizzare la scultura in bronzo come omaggio al padre di Ludovico il Moro, Francesco Sforza. Il monumentale modello in creta fu distrutto dai francesi quando invasero Milano.
Ma secondo una affascinante ricostruzione mai smentita né confermata, proprio per salvare l’oro del Ducato, il Moro lo fece fondere dal suo ingegnere di Corte affinché realizzasse il tanto desiderato cavallo. Lo avrebbe fatto quindi nascondere in un meandro del Castello poco prima di cadere prigioniero dai francesi nell’anno 1500.