Corriere della Sera, 7 ottobre 2019
Le parole da salvare
Blasone, cruento, intrepido, bizzarro, villoso, drappeggio, magagna… Che cos’hanno in comune queste parole così diverse tra loro per suono e per significato? Hanno in comune, nello Zingarelli, un fiorellino (qui semplifichiamo con asterisco*), cioè il simbolo che segnala le parole da salvare. Sono oltre tremila e in questi mesi, fino a novembre, la Zanichelli promuove una campagna per rilanciare questi termini che rischiano di cadere nell’oblio*. Intendiamoci, non è detto che tutti i vocaboli debbano essere immortali o indelebili*, perché la lingua è un ecosistema in cui alcuni individui deperiscono* e altri nascono, ma è certo che più parole conosciamo e più siamo in grado di costruire discorsi sfumati, sagaci*, perspicaci*, ricchi e articolati. In tal senso, l’accorato* invito della Zanichelli, portato sulle piazze di alcune città, ad adottare almeno una delle voci moribonde e a rilanciarla postandola su Instagram o su Facebook (con tanto di significato), è un’iniziativa che ha un suo pregio* culturale e civile. E sarebbe efficace che rimbalzasse anche nelle scuole. È come dire: impariamo più parole per vivere meglio. Ma altrettanto proficuo* sarebbe inventarsi un simbolino (un triangolo con punto esclamativo che consigli prudenza!) per opporsi all’abuso di alcuni concetti salienti* che invece rischiano di logorarsi per eccesso, cioè per uso smodato* sulla bocca di pochi scriteriati* che amano blaterare*. Si tratta di parole come: «popolo», «cambiamento», «orgoglio», «coerenza», «lotta» (all’evasione), «alleanza», «poltrona», «tasse», «dignità», «futuro», «prima» (gli italiani), «tasche» (degli italiani), «italiani»…