Corriere della Sera, 7 ottobre 2019
Il #metoo del tango
La donna avanza, l’uomo le blocca il piede; lui indica la direzione, lei gira; lei tenta un passo e lui la riporta indietro. A guardare i movimenti in milonga con occhi femministi, il tango diventa «un bastione del machismo argentino», così dice Liliana Furió: un brusco dominatore, un’accondiscendente dominata. Rinunciare a ballare, allora? «Piuttosto, ballarlo in modo diverso».
Non è un’idea nuova, ma in questa vivace stagione di battaglie contro la violenza di genere e per la legalizzazione dell’aborto che sta scaldando l’Argentina, ha preso forza un movimento specifico: Movimiento feminista de tango. Un festival si è chiuso ieri, un laboratorio apre a Buenos Aires il prossimo fine settimana; un documentario della Bbc, una pagina del New York Times, un servizio di Al Jazeera. E ancora una volta è l’attivista Liliana Furió, tra le altre, a dare il ritmo.
«È una storia lunga – racconta al telefono – legata alla lotta femminista argentina che celebra 34 anni, anche se trascorsi per lo più nell’invisibilità». Dalla fine degli anni Novanta, questa spinta si è intrecciata alle rivendicazioni del tango queer. «Se prima ci incontravamo di nascosto, in luoghi chiusi, donne che ballavano con donne, uomini con uomini, o anche coppie miste ma a ruoli invertiti, pian piano siamo venuti allo scoperto». Fino a conquistare sale da ballo tradizionali.
Il protocollo anti molestie, che l’attivista ha stilato con le sue socie a giugno, è stato adottato da decine di milongas. Nasce da osservazioni raccolte in pista, uomini che stringono o fanno scivolare le mani, donne che si sentono a disagio e finiscono per abbandonare la ronda, «quando dovrebbero essere i molestatori a venire allontanati». A cominciare dal cabeceo — il cenno col capo che fa un ballerino per invitare la partner – le femministe hanno preso nota delle abitudini machiste consolidate attorno al tango, promuovendo performance dove ci si possa invitare a vicenda, non debba esserci un ballerino a condurre e il gioco delle parti diventi più sottile e armonico.
Non si corre, però, così il rischio di snaturare il tango? Di trasformarlo in un’altra danza? «C’è un grosso dibattito in corso su questo punto – risponde Furió —. Ma nel nostro stile tecnicamente non cambia nulla, sono la stessa musica, gli stessi tempi, passi uguali. Semplicemente la connotazione di genere smette di essere così rigida. È un’evoluzione, secondo noi necessaria, del tango».
È anche una trasformazione privata, la riscrittura di una storia familiare nera: documentarista, attivista Lgbt, Liliana Furió, 56 anni, è animatrice del gruppo dei «Figli disobbedienti» che hanno rinnegato i padri repressori dell’ultima dittatura. «Sono cresciuta in un ambiente militare opprimente, di un maschilismo quasi caricaturale». La tv accesa sui «Grandi Valori del Tango» come omaggio ottuso alla nazione. «Per molto tempo ho avuto un rifiuto, ma la tenerezza e il piacere per la nostra musica mi era rimasto, questa nostra melodia originariamente marginale, anche se imborghesita. È così che ho voluto riappropriarmene».