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 2019  ottobre 07 Lunedì calendario

La mafia albanese controlla la prostituzione

Aveva 16 anni Corinna quando fu venduta dalla madre. Viveva in un piccolo paese di una Romania appena approdata nell’Unione Europea, una terra di speranze e miseria. 
La famiglia di Corinna non volle credere alle speranze, si lasciò vincere dalla miseria. La mamma intascò trecento euro e lasciò andare la prima di tre figlie nelle mani di un lover boy. Sono i compagni-padroni, innamorati per finta, illusionisti di professione. Gestiscono gran parte del traffico della prostituzione di romene in Italia e stanno provando a fare altrettanto anche con le giovani italiane.
Corinna attraversò il confine italiano con una procura della mamma che l’autorizzava ad andare verso l’inferno. Lei questo, però, non poteva saperlo. Al suo fianco c’era un uomo che giurava di essere perdutamente innamorato di lei, di volere una famiglia e una vita insieme: come avrebbe potuto immaginare di essere diretta verso l’orrore? 
Per vivere però bisogna riuscire a pagare almeno l’affitto di una casa, cibo, vestiti. Il compagno le chiese di andare con altri uomini per soldi. La parola giusta da usare in questi casi è prostituirsi. Il compagno lo chiamò amore e purtroppo anche secondo Anna era amore. Divenne la sua vita e quell’uomo il suo carceriere. Corinna arrivò a pesare 42 chili. Il compagno ogni giorno le ripeteva: «Sei brutta, non vali niente, se non stai con me non ti prende più nessuno». Corinna gli credeva e accettava di stare con lui e con tutti gli uomini che la avvicinavano in strada. Anche dopo un aborto, anche con un braccio rotto perché lui l’aveva picchiata. Al ritorno a casa ogni sera metteva i soldi sul tavolo, e a lei rimaneva poco o nulla. Corinna ha due sorelle, anche loro cedute al miglior offerente. Stesso copione, stesso epilogo: in qualche strada italiana a farsi comprare e poi subito a consegnare il denaro guadagnato. Senza nemmeno aver capito del tutto di essere state costrette a farlo. 
Nella trappola da sola
«Le figlie femmine sono oro per i romeni», spiega Nicole Puiu. E’ lei a raccontare la storia di Corinna e delle sue sorelle, tre vite vendute per meno di mille euro dalla loro mamma ai lover boy romeni. Sono le sue cugine, figlie di una sorella della mamma. Nicole ne parla perché vorrebbe salvarle, così come sta provando a salvare sé stessa. Anche sulla sua strada è capitato un lover boy, ma nessuno l’ha venduta a lui o glielo ha imposto: in trappola è finita da sola. «Mi sono sposata a 20 anni in Romania. Il nostro era un bellissimo amore. E’ nato il primo figlio, è nato il secondo. Poi lui ha iniziato a buttare tutti i nostri soldi nelle macchinette per il poker. Dovevo trovare un lavoro, mi hanno offerto un posto come cameriera in un bar a Monza. Ho lasciato i figli ai miei genitori, sono venuta in Italia. Mi sono ritrovata senza più un lavoro e con una persona accanto che sembrava dolcissima. Mi ha chiesto di prostituirmi per qualche mese in modo da tornare in Romania con qualche soldo. A casa avevano bisogno, i problemi erano tanti e io mi sentivo in dovere di risolverli tutti. L’ho accontentato e sono finita in un baratro. Ero convinta di non poterne più uscire».Nicole è riuscita a liberarsi, invece. Ha capito la trappola, ha smascherato i carcerieri vestiti da innamorati. Il 3 gennaio di quest’anno è tornata in Romania, ha riabbracciato i figli e ora vive con loro. Lavora come può ma è padrona della sua vita. «Non chiedo altro», conclude. Vendute dalle madri o vittime da sole di un atroce inganno, ogni anno migliaia di donne romene finiscono nella trappola dei lover-boy. Sono in continuo aumento e non sono più solo romene. 
Tappe dell’assoggettamento
Ci sono anche le italiane grazie a un meccanismo di reclutamento e sfruttamento in grado di sfuggire ai controlli. 
Per la legge e le statistiche sono semplici prostitute e chi le usa al massimo rischia una condanna per sfruttamento della prostituzione, due anni che diventano 16 mesi con lo sconto previsto dal rito abbreviato. La battaglia di chi sta provando a fermare la crescita di questo fenomeno è far capire che sono invece vittime di tratta, schiave come le prostitute nigeriane: costrette, ricattate, prigioniere. E che chi ha il dominio delle loro vite è colpevole di un reato diverso, da punire con una pena dai sei ai dodici anni di carcere. Le prigioniere dei lover boy sono sotto gli occhi di chiunque passi sulle strade della prostituzione, eppure sono invisibili. Secondo i dati del Dipartimento per le Pari Opportunità, le vittime di origine rumena minorenni entrate nel circuito di assistenza sono 23. Rappresentano il 2,8% del totale, una cifra irrilevante e, soprattutto, irreale. Le donne che hanno la forza di liberarsi sono una goccia rispetto al mare di quelle che restano. 
E’ vero per le donne nigeriane: 660, cioè 8 su 10 di quelle che hanno accettato la rottura con il passato. Ma è ancora più vero per le donne romene. Sono in 729 le minorenni originarie della Romania vittime di tratta intercettate in una sola notte dagli operatori dell’associazione Save The Children lungo le strade di 5 regioni italiane, come è raccontato nel rapporto Piccoli schiavi invisibili 2019. «Basta saper contare», sostiene Michelangela Barba, presidente dell’associazione Ebano. «Le regioni sono 20. Vuol dire una media di 2800 donne in tutta Italia soltanto di notte. Bisogna poi considerare le minorenni che scendono in strada durante il giorno e aggiungere tutte le altre che non sono state intercettate. Si arriva rapidamente a settemila. Se si inseriscono nel conteggio anche le romene che lavorano negli appartamenti e le minori ancora più nascoste, si arriva almeno a 12 mila minorenni. Si sa che le minorenni rappresentano un terzo del totale: vuol dire 40 mila romene che si prostituiscono a ogni età. Una stima del tutto ottimistica: è probabile che siano molte di più», concludeBarba. E’ più o meno la cifra calcolata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. «Le strade delle nostre città sono "di proprietà" della mafia albanese che poi, a caro prezzo, ne cede l’uso ad altri clan nazionali: un mercato disumano di abusi e violenze: migliaia di donne costrette a vendere il loro corpo per alimentare senza sosta un racket sanguinario. La prostituzione coatta è un crimine contro l’umanità ed è il terzo business illegale dopo droga e armi», attesta don Aldo Buonaiuto, animatore del Servizio anti-tratta fondato da don Oreste Benzi. Sono 120 mila le donne che si prostituiscono sulle strade e al chiuso. 3,5 milioni i clienti, un giro d’affari di 90 milioni di euro al mese. Dopo le ragazze nigeriane, le romene costituiscono il gruppo nazionale più numeroso presente nella prostituzione su strada in Italia. Su questo sono d’accordo tutti gli osservatori. Secondo Paolo Botti, fondatore dell’associazione Amici di Lazzaro «la giovane età e l’inesperienza rendono le minori rumene particolarmente manipolabili dai loro sfruttatori: ci troviamo di fronte a persone che operano in proprio o sono affiliate a organizzazioni che sempre più vanno specializzandosi sia durante il reclutamento sia nel controllo». E «la sorveglianza costante sulle vittime viene esercitata da figure maschili che monitorano le aree di sfruttamento, ma al controllo maschile si aggiunge quello a vista, effettuato da una ragazza o una donna più anziana che hanno il compito di denunciare allo sfruttatore eventuali mancanze delle ragazze in strada». 
E’ il nuovo volto della tratta: alle donne nigeriane si affiancano sempre più romene, o anche albanesi o bulgare, con una capillare presenza, appunto della mafia albanese sul mercato della prostituzione italiana, come spiega il rapporto di Save The Children. Il controllo dei lover boy è «totale e violento». Un’ organizzazione sempre più efficiente e spietata, giustificata dall’aumento dei guadagni. «Prima agivano con il rapporto di uno a uno e ognuno aveva una ragazza, poi hanno imparato tecniche di manipolazione più articolate e complesse e ora riescono a gestire più di una ragazza, raccontando la stessa storia a ognuna di loro, tenendole in appartamenti separati», spiega Silvia Dumitrache, presidente di Adri, l’associazione delle donne romene in Italia. 
I danni dell’onere della prova
Come uscirne? Secondo Barba va aggiornato il concetto di tratta. «Bisogna rendere la vita più difficile ai trafficanti. Abbiamo presentato proposte di modifica delle leggi. Non si può subordinare l’ingresso nei percorsi di assistenza al racconto da parte delle donne e alla prova di essere state costrette a prostituirsi. Non si chiede al tossicodipendente perché si trovi alle dipendenze della droga. Allo stesso modo bisogna liberare le donne dall’onere della prova, altrimenti saranno sempre troppo poche quelle che avranno il coraggio di accettare l’aiuto». E’ proprio sul loro silenzio terrorizzato che contano i clan.