La Stampa, 7 ottobre 2019
Come cambia l’identità degli italiani
Gli italiani hanno identità territoriali bipolari. Da un lato esprimono un senso di apertura, si sentono cittadini del mondo, dove i confini fisici tradizionali pesano sempre di meno nel definire un’appartenenza: gli "universalisti". Dall’altro lato, i "radicati", quelli per cui prevale la centralità del territorio d’origine, l’attaccamento alla cultura locale e alle tradizioni: l’identificazione a km0. I primi sono ancora molti rispetto a 5 anni fa, ma in netto calo: erano il 60,0% nel 2014, oggi sono il 43,4%. I secondi crescono: dal 21,6% (2014) al 34,9%.
Le nuove tecnologie e i social ci connettono con il mondo, diverse imprese localizzano la produzione oltre le frontiere, la finanza non ha recinzioni. Le migrazioni spostano porzioni di intere popolazioni. Tuttavia, il vento della globalizzazione, che doveva portare a un’apertura e un’integrazione delle diverse parti del globo, ha perso la sua spinta propulsiva. Abitiamo in un grande "condominio". Ma se il condominio non è ben governato genera conflittualità. Così, i processi di redistribuzione avvenuti hanno penalizzato intere fasce di ceti sociali e sistemi produttivi. Soprattutto, ha alimentato un senso di spaesamento e di timore. Aumenta il bisogno di protezione e di sicurezza. Di ancorarsi alle proprie radici, alle identità del mondo originario. Per dirla con Bauman, si costruiscono le "retrotopie", visioni che guardano a un passato ritenuto più rassicurante, più dominabile di quello attuale. Di qui, la necessità di marcare il territorio. Di ridefinire i confini, anche fisici. Cercando di limitare e contenere i flussi di ogni genere. Sul piano economico, imponendo dazi e barriere agli scambi commerciali. Su quello sociale chiudendo le possibili vie di transito (ai migranti, ma non solo).
All’interno di questi fenomeni, la dimensione del territorio torna centrale. Quasi tutti i partiti sono scomparsi dalle società locali e si sono inviluppati nelle dinamiche interne, smarrendo il contatto con la realtà. Di qui, l’invocazione allo stare in mezzo alla gente, a tornare sul territorio, almeno in modo visibile, a cercare interlocuzioni con i diversi soggetti sociali. Lo stesso mondo produttivo, poi, sta riscoprendo la centralità del territorio come fattore di competitività: l’importanza del raccontare i prodotti, nel valore aggiunto che assumono le tradizioni e il brand territoriale nell’affermare le nostre produzioni su scala globale, come dimostra il successo del Made in Italy. Dunque, il territorio nelle sue diverse accezioni diviene centrale, paradossalmente, nelle dinamiche globali. In questo senso, l’ultima rilevazione del Centro Studi di Community Group per La Stampa, ha esplorato quale fosse il senso di appartenenza territoriale della popolazione.
In prima battuta, gli italiani non si riconoscono in un’unica area. Emerge un’identità molteplice che si costruisce contemporaneamente su più livelli. Si è certamente soprattutto italiani (51,1%), ma nello stesso tempo europei (43,7%) e anche appartenenti al mondo (37,3%). Non di meno, la regione (29,6%) e ancor di più la propria città o paese (38,3%) occupano uno spazio decisamente rilevante. Potrebbe essere diversamente in un’epoca in cui grazie alle tecnologie della comunicazione possiamo in ogni momento e luogo connetterci con qualsiasi parte del globo, vedere cosa accade ai nostri antipodi, comunicare in ogni momento del giorno? In cui gli oggetti che indossiamo e utilizziamo quotidianamente provengono da più parti del mondo, e così pure il cibo, i programmi televisivi che vediamo? Questa condizione produce una riscrittura dei nostri confini (non solo mentali) e, quindi, delle nostre identità: che non possono più essere univoche, ma si ridefiniscono progressivamente. Infatti, rispetto a 5 anni fa si assiste a una riallocazione delle appartenenze in senso locale, in un ritorno ad ambiti più circoscritti. Confrontando le due rilevazioni, più che perdere peso l’identificazione col mondo intero, è la dimensione europea a risentirne, a vantaggio dell’appartenenza regionale e soprattutto locale. D’altro canto, il discorso politico e pubblico che da anni contrassegna l’Europa non poteva che produrre un minor senso di appartenenza.
Sintetizzando le appartenenze territoriali, possiamo delineare 5 profili. I "cosmopoliti" (15,9%), si riconoscono esclusivamente come cittadini del mondo ed europei, e gli "italo-globali" (27,5%), che assommano un’identità nazionale a una europea o mondiale, sono in netto calo rispetto al 2014 (rispettivamente 21,0% e 39,0%). I "glocali" (21,7%) si identificano congiuntamente su un livello regionale/locale, con uno europeo/mondiale e sono sostanzialmente una quota stabile (18,4%). Per converso, gli "italo-locali", che uniscono l’identità nazionale con quella regionale/locale, sono il 23,7% e i "localisti" (11,2%) chi esprime solo un’appartenenza regionale e di paese, costituiscono i gruppi in decisa ascesa (rispettivamente 17,5% e 4,1% nel 2014).
Quindi, l’appartenenza territoriale si polarizza attorno a due dimensioni opposte. Per un verso, chi manifesta un elevato livello di apertura (però in calo quantitativamente). Per l’altro, chi si identifica quasi esclusivamente nei propri confini d’origine (in crescita). Va sottolineato, come questo spostamento si caratterizzi territorialmente con gli abitanti del Nord Ovest più aperti a un’identità extra-locale, mentre quelli del Mezzogiorno più identificati con le loro realtà. Ma su tutto prevale il fattore generazionale: i più giovani rimangono aperti a un’identificazione su più ampia scala territoriale, i più anziani spostano il baricentro di appartenenza nella dimensione locale. Nello spaesamento generale chi sa offrire punti di riferimento - giusti o sbagliati che siano - crea un nuovo territorio identitario.