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 2019  ottobre 07 Lunedì calendario

L'ENIGMA ALEJANDRO - SI SCAVA NEL PASSATO DEL KILLER DEI POLIZIOTTI DI TRIESTE – NON C’E’ PER ORA ALCUN REFERTO MEDICO CHE NE ATTESTI UN QUALSIASI DISTURBO MENTALE. I VIDEO DELLA SPARATORIA MOSTRANO UN UOMO AVVEZZO ALL’USO DELLA PISTOLA, IL GIP: “MOLTO INQUIETANTE LO SCARRELLAMENTO: IL GESTO NON È ALLA PORTATA DI TUTTI E DÀ CONTO DELLA FAMILIARITÀ CON LE ARMI” – QUEI CONTATTI IN GERMANIA -

Chi è davvero Alejandro Stephan Meran? Prima della mattanza di Trieste, il dominicano dal fisico robusto e coi capelli rasta è, per le autorità italiane, un uomo qualunque. Ventinove anni, incensurato, titolare di una carta di soggiorno ottenuta un paio di anni fa, nessuna denuncia, nessun referto medico che ne attesti un qualsiasi disturbo mentale. Pulito. Vive con la madre nella mansarda di un palazzo del centro di Trieste.

È un invisibile. Eppure, è lo stesso uomo che alle 16.56 di venerdì scorso avanza sparando nell' atrio della questura, tra i proiettili di chi prova a fermarlo: nella mano destra la pistola che ha strappato all' agente scelto Pierluigi Rotta, nella sinistra la Beretta 92 dell' agente Matteo Demenego, ancora incastrata nella fondina. Ha appena ammazzato i due poliziotti con undici colpi a bruciapelo, senza lasciar loro il tempo di difendersi («da parte delle vittime - scrive il gip - non c' è stata reazione»). Ed è lo stesso uomo che uscito all' esterno, nel panico generale, con un gesto rapido e automatico scarrella la pistola di Demenago per mettere il colpo in canna. Pronto a svuotare il secondo caricatore. Quindi, e ancora: chi è davvero Alejandro Meran?

Il passato del dominicano è l' enigma di questa storia. Gli investigatori della Squadra mobile di Trieste, cui sono state affidate le indagini sulla sparatoria in questura, non credono al giorno di ordinaria follia di un uomo instabile. Non è plausibile, insomma, che prima di venerdì scorso, non avesse mai impugnato una pistola. Troppo agio nel maneggiare le fondine dei poliziotti che ha ucciso (quella di Demenago, oltretutto, era in polimeri, di ultima generazione, con una doppia sicura da togliere per estrarre la Beretta). Dubbi robusti li ha anche il gip Massimo Tommassini, che ne ha convalidato il fermo disponendo la custodia in carcere: «Molto inquietante lo scarrellamento: il gesto non è alla portata di tutti e dà conto della familiarità con le armi ».

L' indagine dunque si sposta in Germania, perché lì Alejandro ha vissuto insieme alla madre Betania e al fratello maggiore Carlysle prima di trasferirsi in Italia. Ed è lì che si può trovare la chiave per risolvere l' enigma. Nei prossimi giorni gli inquirenti inoltreranno una formale richiesta di collaborazione alla polizia tedesca, attraverso il circuito della collaborazione internazionale e l' Interpol, per verificare l' esistenza di eventuali precedenti penali, denunce o segnalazioni che lo abbiano riguardato. Ed anche per capire se sia stato mai ricoverato in qualche istituto di igiene mentale. Se non dovesse risultare nulla, gli inquirenti non escludono di estendere il raggio della ricerca fino alla Repubblica Dominicana.

Dei suoi trascorsi in terra tedesca, finora, sappiamo solo ciò che la madre Betania ha raccontato ai giornalisti in un paio di interviste.

«Seguiva una terapia per i disturbi mentali di cui soffre da sempre, ma quando siamo venuti in Italia l' ha interrotta». Anche negli atti dell' inchiesta c' è poco è niente. «Risulta che abbia contatti e appoggi in Germania », scrive il gip Tomassini, il quale nel tratteggiare il profilo del killer, usa parole pesanti. «Quello che ha fatto dà conto di una aggressività e di una spinta crimonogena che, ad onta della sua incensuratezza, merita il massimo rigore». Alejandro, ha rivelato Carlysle, ha un legame molto stretto con una persona, che vive tra l' Italia e la Germania e che diventa ora il testimone chiave per capire quali giri frequentasse.

A Trieste Alejandro non sembra avere un lavoro, a differenza di Carlysle che ha un part-time come magazziniere. Lo vedono ciondolare spesso dalle parti del disco bar Las 3 Babys, ora gestito da sudamericani e, in passato, chiuso più di una volta per rissa e spaccio. Siamo a Barriera Vecchia, il quartiere multietnico della comunità serba e albanese, «zona di traffici poco chiari, dove è facile nascondersi», secondo la descrizione che ne fanno gli stessi triestini. I vicini di pianerottolo, nel palazzo di via Caccia dove condivide la mansarda con sua madre, aggiungono poco. «Mai visto dare di matto, né urlare o fare cose strane», racconta la signora del piano di sotto. «Anche la notte prima della sparatoria in questura non ho sentito niente di strano».

Piantonato all' ospedale di Cattinara e ferito all' inguine, Alejandro Meran tace. Nell' interrogatorio di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere. Non si sa come abbia fatto a sottrarre la pistola di Rotta, mentre veniva accompagnato al bagno nel corridoio del reparto Volanti. Forse lo ha sopraffatto fisicamente, prendendolo alla sprovvista. Solo lui può dirlo. Di certo sapeva come e perché bisogna scarrellare una Beretta 92 calibro 9, se il colpo non è già in canna. «Charly, mi vogliono uccidere... dove sei?», urlava indiavolato, avanti e indietro nel corridoio, dopo aver colpito i due agenti che l' avevano portato lì solo per un accertamento dopo il furto di uno scooter. Charly, il fratello "buono", era nascosto sotto il tavolo, terrorizzato, barricato nella stanza. Anche lui incapace di decifrare l' enigma.



IL GIP: «IL KILLER SAPEVA SPARARE E NON RISULTA MALATO DI MENTE» Fabio Biloslavo per “il Giornale”

Il killer dominicano, Alejandro Augusto Stephan Meran, che ha ucciso due poliziotti nella Questura di Trieste e ferito un terzo agente non è un Rambo improvvisato da video games, ma «aveva familiarità con le armi».

Il gip, Massimo Tomassini, lo scrive a chiare lettere nell' ordinanza di convalida della custodia cautelare. Le telecamere interne inquadrano l' assassino mentre spara con le due pistole strappate alle vittime. La seconda era ancora nella fondina anti estrazione, ma l' hanno sentito mettere il colpo in canna.

All' esterno della Questura, intercettato da tre agenti della Squadra mobile, ha aperto il fuoco contro la loro auto senza insegne colpendo il montante ad altezza d' uomo. «Dati oggettivi che dimostrano dimestichezza o almeno scioltezza nell' uso dell' arma» spiega al Giornale un investigatore che si occupa del caso. Il Gip sottolinea che poteva essere «una mattanza».

Stephan Meran, imputato di omicidio plurimo e tentato omicidio ha sparato ad 8 poliziotti dentro e fuori la Questura ferendone uno alla mano sinistra. Il capo della Mobile, Giovanni Cuciti, ha dichiarato che sono stati esplosi in tutto 22 colpi. Il killer dominicano ha tirato il grilletto 15 volte con la prima pistola portata via all' agente Pierluigi Rotta e uno o due con la seconda della vittima Matteo Demenego.

«Hanno sentito che metteva il colpo in canna della calibro nove strappata con tutta la fondina all' agente Demenego dopo avergli sparato» spiega un investigatore.

Il gip sostiene che l' assassino ha dimostrato «lucidità» portando avanti senza indugi «un' azione aggressiva». Sulla malattia mentale denunciata dai familiari il pubblico ministero, Federica Riolino, non ha trovato alcun riscontro a parte alcuni «farmaci rinvenuti all' esito della perquisizione domiciliare». Il questore di Trieste, Giuseppe Petronzi, alla domanda se è stata evitata una strage ha risposto in maniera lapidaria: «E' un dato di fatto: i video mostrano fasi concitate e drammatiche».

Da dove spunta il killer immigrato da 7-8 anni in Italia, che sembra avere «familiarità con le armi»? Stephan Meran ha vissuto con il fratello Carlysle dal 2017, almeno per un anno, a Ponte delle Alpi, comune di appena 8.194 anime.

E faceva il magazziniere a Belluno. Il futuro assassino, fermato una volta ad un posto di blocco, risulta incensurato. Il fratello era stato trovato con una scimitarra in macchina e segnalato per porto abusivo di arma da taglio.

E proprio da Ponte delle Alpi sono partiti due jihadisti balcanici per la Siria legati all' imam dell' Isis Bilal Bosnic, oggi in carcere in Bosnia. «Al momento non risulta alcuna contaminazione con ambienti jihadisti. Al contrario i due fratelli, come la famiglia, sono molto legati alla religione cristiana» spiega al Giornale una fonte dell' antiterrorismo.

I fratelli Stephan Meran erano arrivati nel bellunese dall' Aquila e prima ancora da Udine, dopo la Germania, grazie ad un ricongiungimento familiare. Si sta indagando sul passato europeo del killer. Oggi dovrebbero arrivare i primi riscontri dalla Germania anche sulla supposta patologia psichiatrica e le cure in territorio tedesco. Non è chiaro da quanto tempo si trovasse nello spazio Schengen, ma era in possesso di un regolare permesso di soggiorno in Italia.

Il pluriomicida di 29 anni dove ha imparato ad usare le armi? Difficile che abbia potuto farlo attraverso i video games, ma forse ha fatto il militare oppure è stato affiliato a bande latino americane, che solitamente sono sanguinose e ben armate. Intanto l' uomo si trova ricoverato al sesto piano dell' ospedale di Cattinara a Trieste, nel reparto di Medicina d' Urgenza. Il killer è sorvegliato a vista da un agente della penitenziaria, che staziona con lui nella stessa stanza, e da altri tre poliziotti che controllano dall' esterno. Nessuno può avvicinarlo soltanto il personale medico.