6 ottobre 2019
“RUBAI LA PELLICCIA A MIA MADRE PER ANDARE AL PIPER E MI BUTTARONO FUORI DI CASA” - DAGO CONFESSIONS DA DIACO: “PAPÀ MI VEDE E DICE A MIA MAMMA: ‘OH, C’AVEMO UN FIGLIO FROCIO’” - “DA GIOVANE HO LETTO TANTISSIMO PERCHÉ ERO BALBUZIENTE. NON POTEVO PARLARE CON GLI AMICI, MI PRENDEVANO PER IL SEDERE. QUINDI LEGGEVO, LEGGEVO, LEGGEVO” - DAGOSPIA, FEDERICO ZERI, IL RAPPORTO CON LA MOGLIE ANNA E RENATO ZERO: “A 15 ANNI ERAVAMO RAGAZZI PICCHIATELLI. MI RICORDO QUANDO CI SIAMO ROTTI LA TESTA PERCHÉ ANDAVAMO IN GIRO IN MACCHINA CON UNO…” – VIDEO -
1 – ROBERTO D'AGOSTINO: "RUBAI LA PELLICCIA A MIA MADRE E MI CACCIARONO DI CASA. DA GIOVANE ERO BALBUZIENTE" Massimo Falcioni per www.gossipblog.it “Da giovane ho letto tantissimo perché ero balbuziente”. Confessioni di Roberto D’Agostino, rilasciate sabato notte a Io e te. “Non potevo parlare con gli amici, mi prendevano per il sedere. Quindi dialogavo con me stesso e leggevo, leggevo, leggevo”.
Il fondatore di Dagospia è un fiume in piena e nel corso del lungo faccia a faccia con Pierluigi Diaco racconta anche il segreto del suo rapporto venticinquennale con la seconda moglie Anna Federici:
“Quello che ci unisce è il fatto che siamo complici. Il vero problema nelle coppie è solo quello della comunicazione, spesso non ci si parla e ognuno va nella sua strada. Le coppie devono parlarsi, raccontarsi e farlo in maniera complice. Tanta gente non parla, va dall’analista o lo fa con le amiche”.
D’Agostino ricorda pure i dodici anni passati a lavorare in banca e la giovinezza ribelle, che ha centrato in pieno la rivoluzione del ’68. “Una volta fui buttato fuori di casa perché rubai la pelliccia a mia madre per andare al Piper”. Il motivo? Presto raccontato: “Ero andato a vedere i Rolling Stones al Palazzetto e notai Brian Jones con la pelliccia di lupo e le babbucce rosa. Ero col mio amico Paolo, dissi ‘cazzo, che figa’. Paolo però l’aveva di visone, quella di mia madre poraccia era invece ‘na cosa vergognosa. ‘Vabbè che ce frega’, dicemmo”. DAGO DA DIACO A ’IO E TE NOTTE’ - PARTE 2
Tutto bene, fino al ritorno a casa:
“Quando arrivai a casa alle tre di notte con ‘sta pelliccia, alzai lo sguardo e i miei genitori erano affacciati. Papà mi vede con la pelliccia e si rivolse a mamma: ‘oh, c’avemo un figlio frocio’. All’epoca non capivo che per un genitore era uno choc culturale vedere un figlio con la pelliccia, dovevo comprendere, ma non capivo”. DAGO DA DIACO A ’IO E TE NOTTE’ - PARTE 3
2 – ESTRATTI INTERVISTA DI PIERLUIGI DIACO A ROBERTO D’AGOSTINO A “IO E TE DI NOTTE” SU RAI UNO
GLI ANNI ’60 E RENATO ZERO
Dopo la visione della scheda filmata D’agostino commenta…
D’AGOSTINO: A questo punto uno può anche chiudere, troppe cose ho fatto. Come diceva quello… un ragazzo fortunato
DIACO: molto fortunato, ma ne sei consapevole... D’AGOSTINO: Fortunato però nello stesso tempo sono nato nel periodo in cui era veramente faticoso riuscire ad avere una identità, tu immagina che nel dopoguerra l’Italia era solo macerie. Il fatto di essere nato a San Lorenzo, il quartiere più bombardato, io da ragazzino giocavo tra le macerie e tra i mattoni… e poi ho preso frontalmente, avendo all’epoca 20 anni, nel ’68 quella che è stata quella grandissima rivoluzione sociale che ha portato al Giovane. Cioè vale a dire che prima c’era l’ometto… il ragazzo si vestiva come il padre, seguiva il padre in tutto… ad un certo punto con Elvis i Beatles e compagnia varia c’è questa rivoluzione di costume e nasce un nuovo soggetto sociale: cioè il Giovane. E questa cosa ha scombussolato tutto perché pure noi non sapevamo cosa fare perché non c’era un modello precedente.
Mi ricordo quando per esempio a quindici anni eravamo con Renato Zero e racconto sempre che eravamo dei ragazzi picchiatelli a Roma, andavamo al Piper perché era aperto il pomeriggio e poi la sera. Io mi ricordo quando ci siamo rotti la testa io e Renato Zero, perché andavamo in giro in macchina con uno disgraziato che guidava ma non c’avevamo meta, il nostro divertimento era avere un mangianastri, andare in giro per Roma, fare il giro di Peppe intorno alle 7 chiese ascoltando musica. Non c’erano altri divertimenti.
DIACO: però la differenza con altri della tua generazione permettimi di dirlo è che non ti sei imborghesito. Cioè nel senso quello spirito un po’ ribelle… quella curiosità mi pare che abbia resistito nel tempo.
FERNANDA PIVANO E LE IDEOLOGIE
D’AGOSTINO: avendo in quell’età scoperto tutta la letteratura della beat generation, io ho letto molto appunto perché ero balbuziente e quindi non potevo parlare con gli amici che mi prendevano per il sedere… quando uno è balbuziente dialoga con se stesso, leggevo leggevo leggevo grazie a Dio.
Nanda Pivano che è qui rappresentata (in foto) lei scrisse l’introduzione di “Sulla strada” e per me, amici miei come Paolo Zaccagnini e altri… è stata un po’ la guida spirituale della nostra vita… e non era ancora quello che poi è diventato…una specie di santone della letteratura americana, quindi ero pazzo della sua introduzione. Poi la cosa che mi colpì più di tutto fu un altro libro, quello che poi ha cambiato tutto quanto che era “La società dello spettacolo” di Guy Debord.
In questo libro che facciamola breve per non annoiare, aveva già predetto quello che sarebbe avvenuto dopo 20 anni, cioè che noi salivamo sul palcoscenico, non eravamo più spettatori, non eravamo più passivi e quindi noi eravamo di nuovo protagonisti e soprattutto questo libro, detto dei situazionisti, è un libro che faceva sepoltura delle ideologie. Io non sono mai stato ideologico, avevo già eliminato quel problema ideologico e quindi la mia capacità era superiore agli altri perché non mettevo paletti
DIACO: non eri dogmatico
D’AGOSTINO: non ero rigido, ero molto come dire…come stare su un tavola da surf e seguire l’onda
LA MOGLIE ANNA E LE RELAZIONI
DIACO: posso farti questa domanda? Io ho notato, frequentandoti un po’, il rapporto che ti lega ad Anna… D’AGOSTINO: è mia moglie DIACO: è tua moglie, lo dico al pubblico… mi ha sempre colpito del vostro rapporto, a parte le tante cose visibili a chi vi conosce, una passione che avete in comune e che mi colpisce moltissimo perché penso che sia un comune denominatore del vostro rapporto sentimentale e cioè la passione per l’arte, vi ho visto in giro per il mondo viaggiare solo per il semplice piacere di andare a vedere un’opera d’arte.
D’AGOSTINO: non è solo l’arte che può unire due persone… io penso che quello che ci unisce è il fatto che siamo complici in tutto, il fatto che per stare 25 anni, occorre la comunicazione: il vero problema tra due persone è solo quello della comunicazione . Spesso noi non parliamo non diciamo quello che abbiamo nella testa, e in quel momento ognuno va per la propria strada. La comunicazione è la cosa più importante tra due persone: devono parlare. devono dirsi raccontarsi la loro vita quello che fanno e farlo poi in maniera complice.
Essendo questo il mio secondo matrimonio, avendo avuto io qualche esperienza dopo il primo ormai mi sapevo regolare. Però io vedo che il problema vero tra le persone è riuscire a connettere insieme quello che uno vede. Tanta gente non parla, va dall’analista, parla con le amiche…poi alla fine credimi è un problema culturale quello di stare insieme ad una persona, non è altro…. è quello di nutrire il tuo cervello, farlo appartenere ad un’altra persona, raccontarsi, dire le proprie esperienze e soprattutto viverle insieme no? Poi questo sembra facile ma non è facile per niente perché la vita è quella che è. Poi la mia vita… è sempre caotica.
IL LAVORO, LA BANCA E IL POSTO FISSO
DIACO: Anna come giudica il tuo modo quasi operaio di gestire Dagospia, tu apri bottega al mattino presto chiudi tardi, stai tutto il giorno lì fisso su quel computer, parli sempre al telefono, sei sempre connesso… questo iperattivismo lei come lo vive? D’AGOSTINO: bene, perché capisce che in fondo è lavoro… il problema è trovare il lavoro che ti piace. Faccio il lavoro che mi piace e vivo felice. Avendo io lavorato dodici anni in banca, dodici, dal ’68 fino all’ ’80 contavo i soldi ore e ore davanti allo sportello, stavo lì… lo facevo perché dovevo riempire un frigorifero, perché era una famiglia che non aveva possibilità, ero felicissimo di lavorare in banca, ringrazio ancora il cielo. 16 mensilità ma ovviamente non era il lavoro che io amavo.
DIACO: mi racconti il momento in cui hai detto a te stesso, non ce la faccio più ad andare in banca a lavorare… svolto, oso, mi immagino con coraggio, prendo un’altra decisione, faccio il libero professionista? D’AGOSTINO: no ma tu pensa che in quegli anni lì lasciare un posto fisso era… infatti io alla mia prima moglie non glielo dissi, gli dissi che avevo preso l’aspettativa, perché era molto preoccupata
DIACO: immagino… D’AGOSTINO: guarda che io l’ho fatto impazzendo poi, perché facevo le serate in discoteca, scrivevo dappertutto, cercavo lavori di qua e di là perché dovevo dimostrare di riuscire a pareggiare le entrate che non c’erano più. DIACO: una volta tanti anni fa mi hai detto una cosa dandomi un consiglio che è diventato un must per me: che le carriere si fanno con il carattere e non con il talento. D’AGOSTINO: io dico questo, che nel lavoro il talento non è sufficiente, il carattere conta più del talento perché il carattere di una persona poi alla fine si amalgama con gli altri. Gli puoi raccontare una cosa e l’accetta, chi ha un brutto carattere… non fa mai squadra. Se tu mostri il tuo ego significa che sei una persona insicura, se tu sei sicura del tuo valore non hai bisogno di metterti lì a fare il boss
IL FIGLIO ROCCO E L’EDUCAZIONE
DIACO: ma con la consapevolezza di oggi cosa diresti a quel bambino che sei stato… (mostra foto di D’agostino bambino) D’AGOSTINO: direi quello che ho detto a mio figlio: che alla fine la tenacia paga, il lavoro paga e che è importantissimo poi in qualche modo avere la misura. Perché poi in fondo parliamoci chiaro, uno può fare tutto nella vita ma ci vuole sempre una misura, non bisogna mai esagerare che poi ne paghi le conseguenze. Quando è nato Rocco avevo 45/44 anni… io non sapevo che farci con un pupo, come si educa un figlio. Tu c’hai il cane, io ho il figlio. Andai dal pediatra più famoso di Roma che era Bollera. DIACO: un luminare della psichiatria infantile…
D’AGOSTINO: prendo appuntamento e dissi: mi è nato un figlio che gli devo dire? e lui mi fa: “niente”. Ricorda l’unica educazione che tu puoi dare a tuo figlio è il tuo comportamento. Come tu cammini come tu parli a tavola… però la cosa mi ha terrorizzato.Perché pensate che l’educazione che date ai vostri figli è come vi comportate, come state a tavola, come usate la lingua, come usate il congiuntivo come usate le forchette, il tovagliolo, quando camminate, quando incontrate gli amici. Quella è l’educazione che tu trasmetti a tuo figlio. Quindi è terribile perché dire: “fa il bravo stai zitto e non rompere il cazzo” quello è facile. Il problema vero è poi che il tuo comportamento deve essere da specchio per un ragazzo. È quello è un compito durissimo
DIACO: ma a proposito di esempi, ci sono degli esempi quando siamo in vita che poi quando salgono in cielo diventano delle voci interiori. Secondo me c’è una voce che risuona dentro di te ma non mi vorrei sbagliare… suona così te la faccio sentire.
(SI ASCOLTA LA VOCE DI FEDERICO ZERI)
D’AGOSTINO: era la voce di un grande genio italiano che è scomparso e che si chiama Federico Zeri. Zeri è stato un grandissimo storico dell’arte ma non solo: io lavoravo all’Europeo dove anche lui arriva come collaboratore, ecc… allora lo incontro e rimango fulminato dalla sua cultura pazzesca.
Lui ha vissuto 5 anni dentro il vaticano per studiare le opere. 5 anni senza uscire. nemmeno in clausura. Poi andai 6 mesi a casa sua, 6 MESI, perché ho detto: “un genio così non lo trovo più”. Stavamo lì non parlavamo di arte perché io dovevo ancora distinguere la cornice dal quadro ma io stavo lì ad ascoltarlo a seguire il suo comportamento, poi arrivavano gli ospiti tra una cosa e l’altra e poi abbiamo fatto un libro di conversazione con lui, parlando di tutto.
E poi mi ricordo che lui mi chiese di accompagnarlo alla cappella sistina che era stata restaurata dai giapponesi e c’era una trasmissione di Augias e l’altro ospite con Zeri era Gombrich un altro storico dell’arte. Dato che Zeri era quello che era, un genio folle… uno va alla cappella sistina e la prima cosa che fa è alzare lo sguardo e vedere gli affreschi più belli del mondo, Michelangelo, ecc… e lui cominciò a parlare del pavimento. Lui parlò del pavimento, intanto disse: “perché la cappella sistina sta qui, lontana dal corpo della chiesa di San Pietro? perché qui c’è il diavolo”. Come il diavolo? Portò Gombrich e Augias in un punto del pavimento della cappella sistina dove c’è una grata, “qui sotto c’è il diavolo”.
Il diavolo ovviamente non era altro che il più grande tempio pagano dedicato a Mitra. Chiodo schiaccia chiodo.Ogni chiesa romana è stata costruita, edificata su un tempio pagano per mettere in piedi la nuova religione di cristo. Qui c’è il diavolo… DIACO: questo racconto che mi stai facendo di Zeri… mi fa pensare che l’insegnamento tra i tanti che ti ha dato è quello di guardare le cose sempre da un altro punto di vista
D’AGOSTINO: quello che mi disse Zeri è questo: ognuno vede quello che sa, questo è fondamentale. Se noi andiamo in un qualsiasi posto, il tuo sapere sa connettere, l’intelligenza è sapere connettere le cose, tu vedi, connetti e questa è l’intelligenza, questa è la cultura. Ognuno vede quello che sa. Su certi quadri vedeva delle cose che io non vedevo ovviamente… su altre cose io vedevo delle cose che lui non vedeva. non si può essere Leonardo, però quello che ti volevo dire, l’importante è la tua capacità di studio, devi studiare, non c’è televisione, internet… studiare ti fa capire quello che hai davanti agli occhi.
I PADRI NOBILI DIACO: Sai durante la pubblicità sono andato di là, dall’altra parte, ho sentito i tecnici dire che è inedita questa intervista… Nel senso che sentirti parlare, raccontare, narrare, non come nei soliti dibattiti televisivi a cui partecipi è molto bello
D’AGOSTINO: Anche perché ho vissuto con dei personaggi da Zeri, Arbasino, Arbore, Boncompagni, ho avuto una grande fortuna e anche una grande umiltà di stare appresso a coloro che io reputavo come maestri. Achille Bonito Oliva non è facile come persona
DIACO: Per niente…
D’AGOSTINO: Per niente… Però io sapevo che potevo succhiare quella cultura da lui.
DIACO: tu i padri cosiddetti nobili, gli insegnanti te li sei andati a cercare?
D’AGOSTINO: Beh certo li ho anche coltivati, per esempio quando ho conosciuto uno come Ettore Scola, Sergio Corbucci. I salotti di una volta a Roma quando c’era Guarini, Moravia, ti mettevano in crisi. Poi Roma era micidiale in questo.
FINE IDEOLOGIE, SI VA VERSO LA SOCIETA’ DEL NARCISISMO
(VIENE TRASMESSO UN FILMATO TRATTO DA MISTER FANTASY)
D’AGOSTINO: Negli anni 80 ad un certo punto si rompe tutto. La morte di Aldo Moro nel ’78 fa da confine. Ad un certo punto scompare quel periodo di ideologia anche criminale e nascono le tribù del rock: ognuno usava avere un’identità per raccontare agli altri non se stesso, perchè nessuno sa che siamo ma il suo immaginario quello che vorrebbe essere. Lo ritroviamo oggi in Instagram e tutto il resto. Ma nasce lì, nasce con la beat generation di Tom Wolfe, Christopher Lasch che scrive la cultura del narcisismo. La fine delle ideologie comportava che ognuno di noi ha un display da raccontare agli altri, non abbiamo più un gruppo, non abbiamo più un’ideale che ci crea un’identità
DIACO: Ma era più sincera quella aspirazione di cui parli tu adesso o l’aspirazione di uno giovane di 15 anni di oggi che usa i social network per raccontare quello che gli piacerebbe essere e magari non è?
D’AGOSTINO: il problema oggi non è quello di essere se stessi, neanche negli anni 80. Il problema era creare se stessi. Tu dovevi creare una tua identità: una volta uno si metteva in un gruppo, in un corteo e l’insieme faceva l’identità di un ragazzo. Invece ad un certo punto liberi tutti. All’epoca c’era il paninaro, il new wave il rock billy, ognuno rappresentava quello che era la sua testa. Poi lo vediamo benissimo con Instagram. Che differenza c’è tra il fare un selfie e chiedere a qualcuno mi fai una foto con Diaco? È che con il selfie, il telefonino diventa uno specchio, tu metti la tua faccia, fai la tua boccuccia, crei la tua posizione, non sei più a disposizione di uno che ti fa la pancia, gli occhi chiusi eccetera
DIACO: Cioè che ti ritrae…
D’AGOSTINO: Sei tu che ti crei con i filtri e vari giochetti… Posti una foto che non è reale. Quell’apparenza là è una creazione. Devi sopportare poi quell’apparenza, non è come mettersi una maschera di carnevale. Ed è in quegli anni ’80 che nasce il computer, nell’ 83. Sono quelli gli anni del postmoderno… In quegli anni lì Umberto Eco scrive il Nome della Rosa.
DIACO: La cosa curiosa è che nella tua carriera strettamente televisiva passi dal fare nel 1981 l’inviato per un programma come mister fantasy, a inventarti nel 1985 un personaggio come il lookologo. Ma la cosa assurda è che metti per la prima volta a processo in questa azienda l’istituzione di questa azienda, l’asset della Rai, facendo Sanremo penosi…
D’AGOSTINO: Io ho fatto pure una cosa che poi mi hanno censurato… Quando a Domenica In feci lo zucchino d’oro, dove davo ai personaggi che avevano combinato delle sciocchezze questo zucchino che avevo fatto dipingere d’oro, un bel zuccone che era molto fallico in effetti… Con Gianni ne abbiamo fatte tante di queste.
C’era una sorta di cinismo, cattiveria, distacco… Non ce ne fregava niente. Il problema è che non va presa la televisione come se fosse i dieci comandamenti.
DIACO: è un gioco…
(IN STUDIO SI ASCOLTA LA CANZONE DAL JUKE BOX “She’s leaving home” The Beatles)
LA GENERAZIONE DEGLI ANNI ’60 E IL DISTACCO DALLA FAMIGLIA
D’AGOSTINO: Perché ho scelto questa canzone? Ne potevo scegliere 3 mila che mi hanno colpito nella vita, che mi hanno cambiato la vita… Ho scelto questa canzone perché correva l’anno 1967 e c’era questo capolavoro che sta in Sergent Pepper. Questa canzone racconta un dramma: lei sta lasciando la casa. Voi sapete che tutte le canzoni prima dei Beatles raccontano “io mi sveglio la mattina e lei è andata via”. Qui chi va via è una ragazza che lascia la famiglia, scrive un bigliettino, la madre si sveglia e si accorge di questo biglietto diventa pazza, sveglia il padre e inizia la canzone.
Lei lascia la casa e i genitori in questo coro da tragedia greca cantano questo: lei lascia la casa ma noi abbiamo lavorato tutta la vita per darle tutto quello che lei sognava . L’amore nessun denaro te lo può comprare, e noi le abbiamo dato l’amore e le abbiamo dato la nostra vita per farla felice…Perché ci lascia? E c’era quello scontro generazionale tra genitori, tra la famiglia e i figli, dove il figlio non riusciva a comunicare che voleva fare un’altra vita che doveva lasciare che doveva tagliare quel cordone ombelicale. Mi sono commosso a quelle parole lì dei genitori: “io ho dato tutta la mia vita per te, perché te ne vai?”
Questo intreccio era cantato da Paul McCartney in un’epoca dove il vaffanculo all’istituzione familiare era d’obbligo, i Beatles fanno questa canzone dove mettono la tragedia di vedere una figlia che va via. Io li ho capito anche i miei genitori: io una volta fui buttato fuori di casa perché avevo rubato la pelliccia di mia madre per andare al Piper. Nel 67 vado a vedere i rolling stones al palasport e trovo Brian Jones con una pelliccia di lupo e delle babbucce rosa che suonava la chitarra. Io e il mio amico Paolo Zaccagnini abbiamo detto: cazzo è figa la pelliccia.
Tu ce l’hai la pelliccia? Sì quella de mamma, pure io. Solo che lui aveva quella di visone, mia madre poraccia aveva sta pelliccia e non sapevo neanche il nome… d’astrakan, una cosa vergognosa. E vabbè che ce frega: andiamo al Piper con la pelliccia perché dovevamo fare come i Rolling Stones. Arrivo a casa alle tre di notte con la circolare, ero un ragazzino… Alzo lo sguardo e all’epoca si usava così che i genitori erano affacciati alla finestra preoccupati. Papà mi vede con la pelliccia si rivolge a mamma e le dice: aoh c’avemo un figlio frocio.
All’epoca non capivo che era uno shock culturale per un genitore, mio padre faceva il saldatore, vedere un figlio con la pelliccia…era una cosa che io dovevo comprendere.