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 2019  ottobre 06 Domenica calendario

Intervista all’esperto di autori taroccati

«Numerosissimi falsi hanno invaso da un po’ di tempo il mercato e creano confusione». Il 2 aprile 1956, a Milano, muore Filippo de Pisis. Sull’«Avanti!» lo scrittore e critico Guido Ballo rende omaggio al genio e al suo «estro che, come per l’improvviso giuoco di un prestigiatore, trasforma in pittura qualsiasi immagine». Ma, già annunciando il lutto, Ballo solleva un problema: la contraffazione galoppa. Aveva ragione. Paolo Campiglio, membro del comitato scientifico dell’Associazione Per Filippo de Pisis, conferma: «Ancora oggi le imitazioni di tele di questo artista sono moltissime. Durante le sessioni per l’autenticazione dei dipinti, in media, ce ne vengono sottoposti una trentina e il 90 per cento sono fasulli». Campiglio, ricercatore di Storia dell’arte contemporanea del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Pavia, con i falsi – di de Pisis ma non solo – ha avuto a che fare spesso. Esperto di firme del Novecento, ha coordinato il team che – in base ad accordi fra Mibact e ateneo, con finanziamenti della Regione Lombardia – ha «decifrato» 530 opere di due diverse confische milionarie avvenute a Milano e gestite dall’Agenzia nazionale dei beni sequestrati. Sui dipinti, sottratti alle proprietà con le accuse di illeciti finanziari o di criminalità organizzata, lo Stato doveva prendere una decisione: venderli o acquisirli (se autentici), toglierli dalla circolazione (se imitazioni). Una delle due collezioni, con una settantina di pezzi che si sono rivelati di alto interesse, anche grazie all’expertise di Campiglio, nel 2018 ha preso la strada dei musei; l’altra è stata un lungo rebus da chiarire. La componevano quadri, stampe, sculture, reperti archeologici. «Firme ed etichette indicavano, come autori, de Pisis, Giorgio de Chirico, Giorgio Morandi, Massimo Campigli, Mario Sironi».
Potenzialmente un tesoro. 
«Invece molte tele erano false. Abbiamo lavorato mesi, esaminandole dal vivo e con Fondazioni e Archivi degli autori, ma già dalle prime foto inviate dalle forze dell’ordine certi dettagli non tornavano».
Per esempio? 
«Si notava l’imitazione dello stile degli artisti, dei loro temi, ma mancavano elementi – chiamiamoli tic — che li contraddistinguono. Restiamo a de Pisis: la prima cosa che mi è balzata all’occhio è stata una natura morta con melograno. Se de Pisis dipinge questo frutto, lo osserva dal vivo e lo rende con piccoli tocchi alla maniera degli Impressionisti, nella tela sequestrata il colore non ha spessore pittorico. Il falsario ha osservato non il frutto reale, bensì una foto di Natura morta (Settembre a Venezia) , quadro del 1930 oggi alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, intitolando la tela finta Primavera a Venezia (1932) . Non solo: nell’imitazione lo sfondo è quasi eliminato. De Pisis, che considerava aria e cielo più importanti degli oggetti, non l’avrebbe mai fatto».
Quanto è utile la scienza se le sviste non sono così evidenti?
«Molto. Soprattutto con l’antico. La differenza chimica fra pigmenti (a volte nelle copie ne compaiono alcuni che all’epoca dell’originale non erano in uso) è cruciale. Ma con l’arte del Novecento questa differenza può non esistere».
Fra i contemporanei la contraffazione è più diffusa.
«Anche perché supporti e materiali sono più facili da imitare».
C’è l’idea che il loro stile sia più semplice da rendere?
«Riprodurre tratti del XX secolo, piuttosto che quelli rinascimentali, può sembrare meno complicato».
Sembra, ma non lo è.
«Infatti i dettagli stilistici ignorati svelano la truffa». 
Quali sono gli artisti più falsificati?
«De Chirico, i futuristi Umberto Boccioni e Giacomo Balla: hanno quotazioni alte e mercato internazionale. Karel Appel, Asger Jorn, Pierre Alechinsky del Gruppo CoBrA: avevano buone richieste in Italia. E, ancora, Alberto Burri, Piero Manzoni, Mario Schifano che spesso coinvolgeva altri in atelier. De Pisis ha trascorso gli ultimi anni di vita in manicomio e così, anche per la mancanza di lucidità, le copie hanno cominciato a proliferare».
Copie che vengono prodotte tuttora?
«Il mercato della contraffazione si concentra in genere su autori per cui la richiesta e i prezzi sono in fase di crescita. Stranamente, per de Pisis, il valore è stabile da tempo ma le copie restano un’enormità. E, sì: vengono prodotte anche oggi».
Con esiti discutibili, se pensiamo a quel melograno.
«Quel falsario operò negli anni Settanta o Ottanta, come indicano test sulle carpenterie. Dal 2000, però, nell’arte contemporanea cominciano a trovarsi falsari abilissimi: studiano, agevolati dal contesto».
In che senso?
«Aumenta la circolazione di immagini e dettagli delle opere. Prendiamo Lucio Fontana: negli anni Sessanta lui stesso si accorge che stanno spuntando copie delle Attese , ossia dei Tagli, e inizia a scrivere dietro alle tele. Nonsense, stralci di ricordi, una sorta di marchio. Quando sui cataloghi ha preso piede la tendenza di pubblicare anche il retro delle opere, l’esigenza scientifica è diventata pane per i truffatori. Ora si scovano imitazioni in cui anche il retro è lavorato. Fortunatamente ci sono particolari che, agli occhi esperti, rendono i Tagli identificabili al 100 per cento».
Possiamo dire quali particolari?
«Sarebbe un assist per chi copia».
Altri elementi utili (e pubblicabili) a smascherare i falsi?
«Se c’è una somma di motivi tipici, l’allarme deve scattare. In alcuni falsi Morandi, ad esempio, abbiamo bottiglie, ombreggiatura, tavolo alla Cézanne. Chi copia ammassa tutto: vuole agganciare gli acquirenti meno scaltri. Ma i motivi spesso appartengono a fasi diverse e non sono mai stati insieme in una tela».
Chi sono i cacciatori di imitazioni?
«Lo storico dell’arte è affiancato da chimici e fisici, da restauratori che magari hanno smontato e rimontato mille volte lavori di un certo autore, dai grafologi».
Sulle opere discusse possono nascere battaglie legali.
«Sì, ci sono cause sulla certificazione, Fondazioni che si dividono».
La Andy Warhol Foundation, nata nel 1987 dopo la morte dell’artista, si è chiamata fuori: ha deciso di non autenticare più nulla.
«Scelta motivata proprio con la volontà di non sborsare più cifre milionarie per difendere in tribunale decisioni sulle richieste di autentiche. Un caso emblematico ed eclatante: Andy Warhol, con Picasso e Kandinskij, è tra i più falsificati a livello internazionale».