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 2019  ottobre 06 Domenica calendario

Modigliani, il Novecento più falsificato

Chi è stato davvero Modì? Un grande isolato del XX secolo, distante da gruppi e da movimenti, abile nel captare suggestioni spesso dissonanti, dedito a una personale e ossessiva ricerca poetica: «La sua storia inizia e finisce con lui», ha scritto Giuliano Briganti. Inventore di un codice inconfondibile, ha saputo essere, insieme, antico e contemporaneo. Barbarico e sofisticato. Il suo obiettivo: elaborare un arcaismo moderno, denso di rimandi alla statuaria primitiva e di echi classici, medievali, rinascimentali. Con controllata lentezza, Modigliani si fa aedo di una figurazione primaria. In bilico tra realismo e visionarietà, ricorrendo a una sintassi minimale, lascia affiorare dal nulla divinità di un mondo lontano. Apparizioni ieratiche. Nasi simili a frecce, occhi privi di pupille, palpebre serrate, colli allungati. Corporeità statiche, imperturbabili. Monumentalità mistiche, indifferenti a ogni sperimentalismo. Una purezza metafisica, libera da ogni riferimento alla cronaca, ricca di rinvii alle semplificazioni di Brâncusi.
Come Picasso e Apollinaire, Modigliani sa che la bellezza, nella modernità, non si offre più come armonia solenne, ma come necessità ferita, equilibrio infranto. Peccatore che consumava tutto rapidamente, Modigliani ha condotto un’esistenza bohémienne in quel meraviglioso laboratorio di intelligenze che è stata la Parigi primonovecentesca, in costante dialogo con Apollinaire e Cocteau. Un eroe maledetto: anarchico, folle, violento, alcolizzato, drogato, attaccabrighe, irascibile, irresponsabile, dissipatore, egocentrico, frequentatore di prostitute, appartenente alla genia dei «suicidati della società» di cui ha parlato Artaud.
Otto scene del crimineA 35 anni, in Francia, affetto da tubercolosi, Modigliani muore. È il 24 gennaio 1920. Il giorno del funerale, racconterà la sorella Margherita, intorno a lui inizierà a svilupparsi una pericolosa speculazione ordita da una cinica macchina del malaffare. Di questi scenari inquietanti ora si fanno attenti cronisti una giornalista e un poliziotto, membri della Fondazione Antonino Caponnetto: Dania Mondini, giornalista della Rai (che nel 2018 ha curato una puntata di TV7 intitolata «Giallo Modigliani»), e Claudio Loiodice, ex ispettore di Polizia, impegnato in operazioni contro il crimine organizzato, specializzato in riciclaggio e frodi internazionali.
Mondini e Loiodice hanno scritto un libro appassionante, in uscita da Chiarelettere, L’affare Modigliani (postfazione di Pietro Grasso, ex magistrato, ex presidente del Senato). Un volume che – ne siamo certi – sarebbe piaciuto a Federico Zeri, detective sapiente nel distinguere le opere d’arte vere da quelle false, straordinario conoscitore, con un occhio prodigioso: di lui si potrebbe dire quello che esclamò Cézanne a proposito di Monet, «non è che un occhio, Dio mio, ma che occhio!».
Denuncia «senza timori o remore», che non inciampa mai nella calunnia o nella diffamazione; inchiesta criminologica, nella quale si fanno nomi e cognomi e si riportano informazioni, notizie e dati sempre documentati; spy story ricca di misteri, di errori, di omissioni, di sviste, di alibi, di collusioni; infine, giallo scandito in otto «scene del crimine»: Parigi, place Denfert-Rochereau; Chiasso, porto franco; ancora Parigi, 55 Boulevard Saint-Michel; Livorno, quartiere Venezia Nuova; Genova, Palazzo Ducale; Londra, Piccadilly; di nuovo Parigi, 205 Boulevard Vincent Auriol; infine Worldwide Interbank Financial.
Rispetto a queste scene del crimine, un momento laterale ma significativo del libro è rappresentato dal viaggio nel «più segreto dei musei del mondo»: il porto franco di Ginevra, nel quale sono conservati «miliardi di euro di dipinti, sculture e reperti archeologici». Una fonte rivela agli autori del volume che lì è custodito anche il Salvator Mundi, il dipinto – attribuito a Leonardo – acquistato nel 2017 per 450 milioni di dollari dal principe saudita Mohammad bin Salman.
Ecco L’affare Modigliani. Battendo piste inattese, i nostri investigatori ricostruiscono il caso-Modì. Siamo invitati a entrare in una drammaturgia abitata da tante voci. Un involontario romanzo di spionaggio basato su dati accuratamente raccolti e verificati, segnato da tanti colpi di teatro. Un «pasticciaccio», i cui protagonisti sono – tra gli altri – Jeanne, figlia di Modigliani, e Christian Parisot, archivista. Ecco come viene presentato Parisot dai due autori: «Esperto di storia dell’arte. Sul suo conto pesano inchieste per falso, ricettazione, truffa e reati specifici relativi alle violazioni delle norme del codice dei beni culturali. Condannato nel 2008 in Francia per falso e truffa. Arrestato in Italia nel 2012 per falso e ricettazione, poi assolto nel 2019 per la ricettazione mentre il reato di falso è caduto in prescrizione». Intorno a loro, si muovono comparse e burattinai: magistrati, avvocati, uomini d’affari, collezionisti, criminali, storici dell’arte. Attori di un teatro della disonestà.
Il pasticciaccioFiglio di Adrien, pittore cresciuto negli ambienti milanesi del MAC (Movimento Arte Concreta), studente di storia dell’arte, nel 1974 Christian Parisot lascia il Piemonte per trasferirsi a Parigi. Si iscrive alla Sorbona. Lì incontra Jeanne Modigliani, all’epoca docente di Lingua e letteratura italiana. I due cominciano a frequentarsi con assiduità. Christian diventa l’ombra di Jeanne. La corteggia, quasi la venera. Ne diventa l’uomo di fiducia, il factotum.
Sin dalla prematura scomparsa di suo padre, Jeanne – che morirà nel 1984 in circostanze misteriose – si dedica a raccogliere con amore materiali di ogni tipo, strumenti di lavoro, lettere, appunti e fotografie, dando vita agli Archivi Legali Modigliani. Un modo per difendere la memoria di un artista con un temperamento incostante, portato a distruggere disegni e quadri, morto giovane, senza lasciare firme depositate, né un elenco con la descrizione delle opere dipinte e scolpite. «Gli Archivi – ricordano Mondini e Loiodice – rappresentano il tentativo di cristallizzare tutto ciò che può dare un’identità certa al patrimonio artistico di Modì. Chi li possiede ha in mano gli strumenti per fare expertise e quindi decretare se un’opera è vera o falsa, o quantomeno se un determinato quadro si porta in dote una storicità. Spesso, invece, sarebbero stati utilizzati per costruire cronologie o matrici fasulle, dando il via a fabbriche di falsi».
È quel che accade al «povero» Modigliani, la cui eredità artistica, negli anni, è stata tradita e violata da tanti loschi figuri, disinvolti nell’«abusare» degli archivi per legittimare opere di dubbia qualità. Cominciano a circolare disegni non fatti da lui, autenticati e poi rivenduti; fotocopie ad alta definizione di schizzi falsi, in seguito ritoccati con il colore, per renderli più verosimili al tatto; quadri realizzati da esperti falsari; infine, nuove opere, «magari ingrandimenti di figure che da mezzobusto passano a primi piani».
Tra i principali responsabili di questo «mercato», a lungo considerato «un’indiscussa bocca della verità» cui si rivolgono critici e poliziotti, Parisot sarebbe riuscito anche a farsi «garantire» da autorevoli esperti d’arte, i quali non si sono preoccupati di riconoscere con onestà critico-filologica l’autografia di determinate opere, ma per superficialità o peggio per interessi personali sono diventati suoi complici.
Tra le persone vicine a Parisot, gli autori del libro indicano anche uno studioso colto come Claudio Strinati, che si è spinto «alla compilazione di documenti ufficiali, stilati e firmati nella sua qualità di soprintendente del Polo museale romano, con i quali certifica il valore e la rilevanza degli Archivi Legali Amedeo Modigliani su richiesta di Parisot».
L’affaire ModiglianiAlcuni fotogrammi di questa sorta di film, che ci riserva tante sorprese. 1984, nel Foro Reale di Livorno, vengono ritrovate due teste. Grandi storici dell’arte (come Argan e Ragghianti) sostengono che Modigliani aveva deciso di liberarsi di quei blocchi ancora incompiuti, gettandoli in un fossato. «A me paiono dei paracarri», dice invece Zeri, secondo qualcuno tra gli ispiratori di quella beffa degna di Amici miei, ordita da un piccolo gruppo di studenti universitari. Solo una bischerata? Non solo.
2010. In una mostra allestita al Museo archeologico di Palestrina, sono esposte ventinove opere attribuite a Modì: come viene subito certificato, croste create ad hoc dal «gotha dei falsari romani». Una vicenda simile si ripeterà nel 2017, quando, in un’esposizione al Palazzo Ducale di Genova, verranno presentati venti quadri (su 21) grossolanamente falsificati.
Una pericolosa commedia degli equivoci, che ripropone una liturgia ampiamente diffusa. Conosciamo falsi Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Picasso, de Chirico, Dalí e, appunto, Modigliani; mentre difficilmente ci imbattiamo in falsi di Leonardo da Pistoia o di Zoran Mušic. Perché? Semplice: i falsari scelgono le celebrity; trovano terreno fertile dove c’è carenza di originali, cercando di venire incontro alle richieste del mercato, che vive sulla quantità dell’offerta. Il fine di queste azioni è chiaro: un quadro non vero non vale niente; nel momento in cui entra in un museo o in un luogo espositivo istituzionale, viene legittimato e acquista un valore sempre crescente. Nell’affaire-Modigliani, questo business, gestito con la complicità della criminalità organizzata e dei riciclatori internazionali di denaro, è stimato in almeno undici miliardi di euro.
Pochi hanno cercato di combattere l’azione di personaggi come Parisot: tra gli altri, il «cacciatore di falsi» Carlo Pepi; e Isabella Quattrocchi, tra i più accreditati periti di tribunale nei procedimenti su falsi e falsari nel mondo dell’arte. Tenaci «eroi», che hanno cercato di difendere la grandezza di Modigliani, ormai irrimediabilmente «stravolta e disonorata». Un’impresa disperata. «Dell’opera di Amedeo Modigliani oggi non è rimasto granché», scrivono Mondini e Loiodice. I falsi sono ovunque. Se ne calcolano circa mille, disseminati tra musei e collezioni private di tutto il mondo. Persino nel catalogo generale curato da Ambrogio Ceroni (nel 1972) sono riprodotti quadri ritenuti non autografi dalla figlia dell’artista. Difficile, forse impossibile, dipanare questa matassa di omertà e di interessi malavitosi. «Attenzione, chiunque si occupa di Modigliani viene colpito da una sorta di maledizione!», amano spesso ripetere tanti storici dell’arte con rassegnata ironia.