Avvenire, 6 ottobre 2019
L’anno zero dell’automobile
La data della tempesta perfetta è nota da tempo: 1 gennaio 2020. Mancano meno di tre mesi all’anno zero dell’automobile, che i costruttori guardano con terrore. La minaccia più forte all’orizzonte dell’industria europea delle quattro ruote non è infatti rappresentata tanto dalla Brexit o dai potenziali dazi americani, quanto dai nuovi regolamenti della stessa Ue, che limitano le emissioni di biossido di carbonio (CO2) a un massimo di 95g/km per la media delle vetture vendute da ogni singolo marchio. Per chi non avrà raggiunto l’obiettivo a fine 2020 sono previste sanzioni pecuniarie fortissime: ogni costruttore pagherebbe infatti una multa di 95 euro per ogni grammo di CO2 “di troppo” che andrà moltiplicato per il numero delle auto vendute.
Secondo un recente rapporto di McKinsey, le potenziali multe complessive da pagare ammonterebbero a 15 miliardi di euro, mentre uno studio di Euler Hermes parla addirittura di 30 miliardi in totale per i marchi globali maggiormente presenti sul mercato europeo (Volkswagen, PSA, Renault-Nissan, Fca, Bmw, Ford, Daimler e Hyundai), importo che rappresenta poco meno della metà della somma degli utili netti ottenuti nel 2018.
Ad oggi tutti i costruttori sono riusciti a rientrare nei limiti di CO2 consentiti attualmente, entrati in vigore dal 2015 in Europa (130 g/km), ma molti sarebbero ancora lontani dai 95 g/km. In pratica gli undici grandi gruppi, quelli che vendono più di 300.000 vetture all’anno in Europa, hanno una gamma di auto vendute ad oggi che emette in media 119,7 g/km, ovvero 24,7 g/km oltre il nuovo limite. Le classifiche pubblicate da Jato Dynamics, che raccoglie i dati riferiti all’anno 2018, segnalano che sotto il limite ob- bligatorio ci sarebbero oggi solo Tesla (0 g/km) e Smart (89,8 g/km), e che sotto i 100 g/km di CO2 rientra solo la gamma Toyota con i suoi 99,9 g/km.
La situazione è in continua evoluzione, e la recente introduzione di moltissimi modelli elettrificati – a patto che si riesca anche a venderli – può far cambiare in fretta percentuali e prospettive, rendendo meno drammatica la situazione. Ma è innegabile che i parametri richiesti dalla Ue impongano ai costruttori un mix di immatricolazioni che prevede un’alta percentuale di veicoli a basse emissioni (almeno il 20% secondo alcuni calcoli). Chi non riuscirà a centrare l’obiettivo si troverà nella drammatica situazione di dover affrontare esborsi stratosferici per far fronte alle multe, oppure addirittura di tagliare la produzione delle vetture con motori tradizionali per abbassare la media, provocando così il crollo del mercato e dell’occupazione.
E non per mancanza di domanda, ma per necessità di bilancio.
L’industria dell’auto ha avuto cinque anni per preparasi a questa scadenza: ha investito somme mostruose sull’elettrificazione (una stima credibile parla di 275 miliardi di euro), metterà sul mercato entro il 2025 più di 300 nuovi modelli a batteria e ha fatto sforzi enormi - con grandi risultati - per “ripulire” i motori a gasolio che oggi sono anche più virtuosi di quelli a benzina. Ma pur risultando probabilmente il primo settore al mondo quanto a taglio delle emissioni non ha saputo difendere i suoi investimenti a livello politico, subendo i fin troppo rigorosi limiti imposti dall’Europa. Che sono, e saranno, molto più severi di quelli esistenti in altri continenti e nazioni maggiormente responsabili dal punto di vista inquinante e clima-alternate.
Le prospettive ora sono preoccupanti. Chi si è mosso tardi sull’elettrificazione (o in maniera non abbastanza premiata dal mercato) potrà difendersi dalla tempesta perfetta come ha fatto Fiat-Chrysler attraverso un accordo con Tesla alla quale ha versato alcune centinaia di milioni di euro per poter acquistare una sorta di “credito” di emissioni dalla gamma completamente elettrica del marchio californiano, evitando una multa potenziale che alcuni analisti hanno quantificato in 3 miliardi di euro. Un “aggiramento” delle regole assolutamente lecito e previsto dagli stessi regolamenti europei, sulla falsariga di quanto fanno da anni i Paesi più industrializzati, che comprano “quote” di aria pulita da quelli meno sviluppati per soddisfare gli standard del Protocollo di Kyoto.
Di sicuro, il passaggio alla mobilità elettrificata oltre a un forte ribasso su fatturati e margini per i costruttori, sarà comunque molto cara anche per gli utenti: Euler Hermes prevede per la fine del 2020 un aumento del 2,6% del prezzo medio delle auto, una diminuzione del 3,1% di nuove immatricolazioni, una perdita di 2,9 miliardi di euro nelle vendite, 60.000 posti di lavoro a rischio in Europa e 160.000 entro il 2025.