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 2019  ottobre 06 Domenica calendario

Gli Emirati Arabi puntano su Marte

Abitare su Marte forse non è così impossibile come potrebbe sembrare. Una nuova ricerca propone un sistema relativamente semplice per realizzare degli ambienti naturali dove vivere, produrre acqua e coltivare cibo. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard, del Jet Propulsion Lab della Nasa e dell’Università di Edimburgo ha studiato un modo per vivere sul pianeta rosso in zone protette da sottili calotte di aerogel di silicio, un materiale leggero composto al 99,98% di aria e, al tempo stesso, talmente resistente da isolare il calore e bloccare le radiazioni ultraviolette nocive. Il faldone degli studi scientifici è finito nei mesi scorsi sulla scrivania di Mohammed bin Rashid Al Maktoum, Vice Presidente e Primo Ministro degli Emirati Arabi e Governatore di Dubai. Personaggio avvezzo a improvvisi slanci emotivi, alimentati da una disponibilità economica pressoché illimitata, Al Maktoum si è lasciato andare lo scorso settembre a un’affermazione da far tremare i polsi. «Gli Emirati conquisteranno Marte. Saranno i nostri connazionali i primi abitanti di questo pianeta affascinante. Nulla è impossibile». 
E come se non bastasse ha persino stabilito la data di colonizzazione: il 2071, per festeggiare i 100 anni della disconnessione dall’influenza britannica. Al Maktoum prende in prestito dati scientifici, senza farsi condizionare (così parrebbe) dalle atmosfere del The Martian di Ridley Scott. Dove per sopravvivere su Marte, o aiutare qualcuno costretto a farlo, bisogna saperne di botanica, chimica, fisica, astrofisica. Bisogna aver letto Iron Man, visto Il signore degli anelli, credere un po’ in Dio, o in tanti altri dei, ballare la disco anni Settanta e costruire bombe a partire dallo zucchero. Serve essere intelligenti, preveggenti, calcolatori, parsimoniosi, di ottimo umore e abbastanza forti da reggersi a un cavo di 40 metri oltre l’atmosfera di Marte. 
Cinema e letteratura sono distanti anni luce dalle ambizioni (più o meno legittime) di uno dei più celebri, anche per le cronache rosa, signori mondiali del petrolio. Nulla è stato lasciato al caso. L’obiettivo è quello di sviluppare il settore spaziale nazionale che sta per essere realizzato attraverso la costruzione di una struttura per la fabbricazione di satelliti, che prevede il training per gli astronauti, e il lancio di un programma globale scientifico e di ricerca. Il costo dell’operazione si aggira intorno ai 25 miliardi di dollari. Quasi il triplo del denaro messo sul piatto da Elon Musk, il visionario Ceo di Tesla e SpaceX, anche lui da tempo sulle tracce di un percorso rivoluzionario che accompagni gli abitanti della Terra a 58 milioni di chilometri di distanza. «Sono giornate destinate a passare alla storia – ha affermato Al Maktoum – il progetto di Harvard è fattibile. Il posto ideale per un avamposto marziano avrebbe acqua abbondante e temperature moderate. Costruire delle calotte di aerogel di silicio ci permetterebbe di creare artificialmente ambienti caldi dove ci sarebbe già acqua disponibile».
Gli Emirati Arabi stanno partecipando attivamente alle missioni spaziali internazionali in programma nel 2019. Per raggiungere questi obiettivi operano nel settore attraverso il Mohammed Bin Rashid Space Centre e l’agenzia spaziale federale russa Roscosmos. Inoltre hanno firmato lo scorso 20 giugno un accordo di cooperazione per l’invio nello spazio del primo astronauta, che il 25 settembre è partito con una capsula Sojuz-MS per partecipare a delle ricerche scientifiche nell’ambito di una missione spaziale russa sull’International Space Station.
Tutto ciò rientra nell’ambito degli obiettivi del «Uae Centennial 2071», che prevedono lo sviluppo di scienze futuristiche nell’ambito di vari settori che includono l’innovazione, lo spazio, l’ingegneria e la medicina. Sempre secondo il premier, l’accordo fornisce un’ulteriore spinta alle future ambizioni spaziali degli Emirati, che includono appunto la costruzione del primo insediamento umano su Marte. L’astronauta emiratino, Hazza Al Mansouri, 36 anni, dei quali 14 di esperienza nelle forze armate come pilota di caccia, ha iniziato l’addestramento presso il centro per cosmonauti Yuri Gagarin a Mosca per imparare la lingua russa, che è un requisito fondamentale per garantire il successo dei successivi esercizi sulla navicella spaziale Soyuz. Precedentemente ha trascorso un anno durante il quale ha dovuto sottoporsi a numerosi test ed esercizi in preparazione della missione, che rappresentano una tappa importante nella storia degli Emirati. Al Mansouri è diventato così il primo cittadino degli Emirati a volare nello spazio. Ad accoglierlo è stato il comandante della Stazione Spaziale Alexey Ovchinin, accompagnato da Christina Koch, Nick Hague e Andrew Morgan, tutti e tre della Nasa, dal russo Alexander Skvortsov e dal nostro Luca Parmitano, dell’Agenzia spaziale europea. Quest’ultimo ha assunto il comando il 2 ottobre, per un passaggio di consegne con Ovchinin, rientrato sulla terra. Durante la sua breve missione, Al Mansouri (padre di 4 figli) si è occupato di osservazioni della Terra, ha documentato la vita a bordo della navicella e ha avuto anche un ruolo di controllo della missione. Nel suo viaggio, oltre alla bandiera degli Emirati Arabi, ha portato trenta semi di alberi di Al Ghaf (sua città natale), che sono stati piantati nel suo Paese al rientro dal viaggio.
Salem Al Marri, vicedirettore generale per gli affari scientifici e tecnici, nonché capo del programma degli astronauti, è apparso ottimista sulla futura colonizzazione: «Il nostro obiettivo è quello di avere un programma spaziale sostenibile. Seguiranno altre missioni che alla fine mirano a realizzare le aspirazioni di Emirates verso lo spazio. Arrivando su Marte forniremo un irrinunciabile servizio all’umanità».