il Giornale, 6 ottobre 2019
Ultima sigaretta a Parigi
Pochi ettari e molte idee. Ciononostante, la produzione di tabacco «francese» sembra avviarsi verso un declino inesorabile. Prossima all’estinzione. La storica filiera del sud-ovest dice addio all’ultimo stabilimento di lavorazione, quello di Sarlat (Périgord). L’unico rimasto Oltralpe a rifornire il marchio Gauloises per le «bionde».
Non è solo questione di icone, del mito della sigaretta francese sulle labbra di Jean-Paul Sartre, Serge Gainsbourg o David Bowie. Brucia una pagina di storia che prelude a un futuro fosco dopo la delocalizzazione in Polonia e Spagna degli ultimi anni. Per il quotidiano economico Les Echos, è a rischio l’esistenza stessa della coltivazione del tabacco d’Oltralpe, che ha assunto i caratteri di una vera e propria «resistenza». Diversi i fattori: costo della manodopera, concorrenza di Brasile, Cina, India, Malawi e Zimbabwe e politiche antifumo. Prezzi dei pacchetti alle stelle e relativa ascesa del commercio illecito. Chi può, varca il confine per fare scorta in Spagna, Italia o Belgio. Per questo la chiusura dell’ultimo stabilimento di prima trasformazione del tabacco, a Sarlat dal 1985, segna la fine dell’era «francese».
Sarlat era tornata a sperare l’anno scorso, grazie al contratto di tre anni con un gigante globale dopo la chiusura di uno stabilimento in Germania: accordo stralciato quest’estate e annuncio di chiusura, con i 33 dipendenti ancora in vacanza. Al rientro, pulizia delle macchine, archiviazione delle carte e saluti. L’ammiraglia francese appartenente alle 7 cooperative del tabacco di Francia ha sigillato le macchine lunedì; gli stagionali hanno salutato i decani e ieri hanno trattato le ultime foglie. Nell’epoca d’oro c’erano 200 impiegati. «Ogni estate, quando andavamo in vacanza, non sapevamo se saremmo tornati al lavoro», racconta Bernard Olejniczak, 52 anni. Stagionale, poi assunto, ha accettato di tornare alla produzione. Restano 650 coltivatori in Francia, per un volume d’affari di circa 25 milioni di euro: ma il numero «dovrebbe scendere a 400, data l’età media», spiega Francois Vedel, portavoce di France Tabac.
Quasi l’80% della produzione si basa già sulla varietà Virginia, coltivata nel nord della Loira in processi meccanizzati. Un tabacco povero di nicotina e più dolce, adattato a un mercato col vento a poppa. «A Dubai, in Giordania o in Egitto, l’etichetta tabacco francese è molto apprezzata», spiega Rémy Losser, che produce “Virginia” nel Basso Reno. Il futuro della varietà «Burley» destinata alle sigarette è invece desolante, causa competizione con i produttori stranieri. Si pensava che il sud-ovest della Francia fosse stato salvato dalla tedesca Alliance One, che prometteva di trattare 4 mila tonnellate in più all’anno. Ma l’azienda tedesca è tornata sui suoi passi trasformando un pezzo di gloriosa storia francese nel peggior momento vissuto dai 176 agricoltori della cooperativa Périgord Tabac dopo la chiusura della fabbrica di Gitanes a Riom nel 2016.Il mito francese era andato in fumo già nel 2007 con la delocalizzazione in Polonia delle Gauloises blu. Nel 2005 chiuse la ditta di Lille e la produzione delle «brune» traslocò ad Alicante, lasciando made in France solo le «bionde»; pure quelle finite in Polonia dopo la serrata della fabbrica di Nantes (327 dipendenti). Fino a ieri almeno il tabacco proveniva da Sarlat, a garanzia «francese». Ora non c’è più neppure quella. «Dobbiamo vendere il raccolto del 2019, 550 tonnellate, che si sta seccando. Abbiamo attivato tutti i canali e siamo nel bel mezzo dei negoziati», assicura Laurent Testut, presidente della cooperativa locale, che punta su Croazia e Italia. Il prezzo medio del tabacco grezzo è di circa 3 euro al chilo, per un tempo di lavoro 100 volte superiore a quello, per esempio, dei cereali.
Il futuro passa da mercati di nicchia, come il tabacco per shisha. Un duro colpo per l’economia del Périgord, la regione di Bergerac, patria di Cyrano, che già oggi ospita un museo del tabacco.