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 2019  ottobre 06 Domenica calendario

Le banche fanno cassa vendendo Bot e Btp

Il cambio di governo estivo che ha dimezzato il rischio sovrano si sta rivelando un’occasione di trading sui titoli sovrani per le banche, che ne sono le maggiori proprietarie. E che dopo il rimbalzo di agosto da un mese stanno in più casi “prendendo profitto”, tramite vendite sul mercato o contabilizzazioni favorevoli che faranno emergere plusvalenze utili a continuare lo smaltimento dei crediti deteriorati senza affossare la redditività, bassa di suo, nei bilanci 2019.
L’ultimo dato a fine agosto riscontra nel portafoglio delle banche italiane 410,16 miliardi di euro di titoli del Tesoro, ai massimi da tre anni. Lo ha censito la Bce qualche giorno fa, tra le mille cifre del database M3. Siamo in ascesa dai 409,3 miliardi di luglio, conferma il legame ferreo tra gli istituti e il debito pubblico, il dato è raddoppiato dalla crisi sovrana del 2011. Sempre meno investitori stranieri, sempre più compratori (bancari) italiani. Questo rapporto, rischioso perché riflette su conti e quotazioni bancarie le volatilità e i rischi generati dalla politica nazionale, dà agli istituti anche qualche margine per ridurre al minimo i costi del legame, o se possibile trarne qualche beneficio. È noto che, un anno fa, il ritorno dello spread nell’area 320 punti base aveva indotto politiche di bilancio che nei sei mesi successivi portarono le banche da un lato a nuovi acquisti di Btp e affini (più alto lo spread, più ricca la cedola, che nella caduta sottozero dei tassi Bce ormai sostiene i ricavi da interessi), dall’altra hanno provocato politiche contabili per “sterilizzare” il rischio spread. Come riporta l’ultimo Financial stability report Bankitalia di maggio, «alla fine di marzo i titoli pubblici detenuti dalle banche italiane classificati al costo ammortizzato erano pari al 54% del totale», pari a un raddoppio di questa categoria contabile in soli sei mesi.
Serve un inciso tecnico per capire la portata del dato. Le banche possono contabilizzare i Btp in tre modi: al “costo ammortizzato”, come immobilizzazione che non sconta perdite o guadagni di mercato fino alla loro scadenza; o nelle sottocategorie "per trading” e “per la vendita”, esposte alle fluttuazioni. Fino a marzo, dunque, la migrazione per mettersi al riparo dal caro spread è stata massiccia. Ma dal 9 agosto, picco negativo delle quotazioni dei Btp (in sincrono con la crisi del governo Conte 1 e la formazione del governo giallo-rosso), i prezzi delle principali emissioni del Tesoro hanno registrato un rimbalzo compreso tra il tra 5 e 10%.
E da circa un mese, vista la stabilizzazione dello spread in area 140 punti base, qualche istituto sta rimodulando le strategie. Dietro le quinte si citano tra le altre Intesa Sanpaolo e Banca Sistema, mentre Unicredit sembra più fedele alla recente strategia di allineare il rischio Italia mandando a scadenza i 53 miliardi di titoli detenuti. Alleggerire – con relative plusvalenze – un portafoglio che ammonta a 1,5 volte circa il patrimonio netto delle banche è la prima esigenza, e la seconda è riflettere nel conto economico gli effet ti del rimbalzo estivo. Le cessioni, notate dagli operatori sui listini da qualche tempo, riguardano soprattutto le scadenze più brevi fino a due anni, ed emergeranno nella trimestrali di fine settembre, oltre che nel prossimo dato mensile M3 della Bce. Potrebbe trattarsi di qualche miliardo in più rispetto ai 3 di vendite nette segnalate tra dicembre 2018 e il marzo 2019. L’altra modalità per guadagnare dal rimbalzo dei Btp è contabile, e consiste nello spostare i titoli pubblici “immobilizzati” nelle due sottocategorie che risentono delle quotazioni. La normativa consente di spostare fino al 5% annuo dei titoli pubblici immobilizzati nelle altre categorie: per il sistema italiano, fino a una decina di miliardi. «Nel terzo trimestre la chiusura degli spread ha portato alle banche italiane un beneficio di capitale Cet1 tra 20 e 25 punti base, sul portafoglio al 30 giugno – dice Christian Carrese, analista di Intermonte che prevede un buon risultato trimestrale dei ricavi bancari da trading –. Il beneficio potrebbe rivelarsi superiore, con effetti anche in conto economico per quelle banche che abbiano venduto titoli o ne abbiano spostati dalle immobilizzazioni alle categorie esposte alle fluttuazioni di mercato».