La Stampa, 6 ottobre 2019
L’intelligenza artificiale nelle scuole
Scuole con programmi personalizzati per gli alunni, corsi accademici a prezzi più bassi, studi più accessibili per i portatori di handicap e ricercatori con a disposizione strumenti avveniristici: sono alcuni degli scenari che si stanno aprendo sul fronte dell’educazione grazie allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie emergenti, ancora circondate da troppe resistenze e sospetti.
L’intelligenza artificiale è l’elettricità del nostro secolo perché se alla fine dell’Ottocento la corrente fu il motore della rivoluzione industriale oggi gli algoritmi sono il motore della rivoluzione digitale che consente ai computer di dialogare fra loro. In genere l’intelligenza artificiale è considerata uno strumento soprattutto a disposizione della sicurezza nazionale - per proteggersi da attacchi cyber - o un acceleratore della robotica che può minacciare i posti di lavoro. Non c’è dubbio che entrambi questi aspetti esistano e debbano essere considerati con grande serietà ma sarebbe un grave errore ignorare quanto sta avvenendo sul fronte dell’educazione dove le «macchine capaci di apprendere» generano novità che schiudono orizzonti di importanti innovazioni.
Per comprendere di cosa si tratta bisogna guardare agli Stati Uniti dove John Allen, presidente della Brookings Institutons di Washington, ha firmato un breve saggio per indicare nello sviluppo dell’intelligenza artificiale nell’educazione uno dei maggiori vettori della lotta alle diseguaglianze. Per due motivi convergenti: la possibilità che la connettività 4G e 5G consenta pari opportunità di accesso allo studio da parte di ogni giovane, indipendentemente dalla località in cui risiede, e la facoltà di sviluppare programmi di apprendimento ad personam per alunni con ogni sorta di handicap, consentendogli di non avere più alcuna barriera nell’apprendere.
Al «Teacher College» della Columbia University di New York si è svolto questa settimana un seminario su come l’intelligenza artificiale sta cambiando le classi scolastiche. Hod Lipson, direttore del «Creative Machine Lab» dell’ateneo, ha parlato di «macchine che per la prima volta nella Storia comprendono immagini, suoni, tecnologia e video» potendo sviluppare dialoghi tali da diventare fonte di insegnamento dall’asilo al liceo. Come anche di monitorare ed aiutare gli alunni particolarmente dotati o svantaggiati.
Stefania Druga, fondatrice newyorkese di Afrimakers, ha aggiunto la sua esperienza pluriennale con la piattaforma «Cognimates» che consente a bambini delle elementari di sviluppare giochi che valorizzano le rispettive origini etniche. E poi c’è l’impatto sulle rette universitarie: alcuni atenei americani sono oggi in grado di offrire corsi di Master online a costi ridotti del 25 e perfino del 50 per cento grazie alle opportunità offerte dall’intelligenza artificiale. Siamo sicuramente solo all’inizio di un cammino non privo di interrogativi etici ed oracoli normativi ma le opportunità didattiche sono difficili da ignorare e, sul fronte della ricerca, assumono in alcuni casi caratteristiche avveniristiche.
Per comprenderlo basta guardare all’Università del Kentucky, dove un team di archeologi adoperando «macchine capaci di leggere» è prima riuscito a decrittare un testo millenario del Levitico trovato nella sinagoga di Ein Gedi in Israele ed ora è impegnato a decodificare testi scritti su pergamene carbonizzate dall’eruzione del Vesuvio che travolse Pompei nell’anno 79. Sono le avvisaglie di una rivoluzione del sapere che deve essere sicuramente governata e gestita - creando nuove regole di applicazione e relativi standard di apprendimento - ma non può essere ignorata. E questo vale soprattutto per la nuova Commissione europea di Ursula von der Leyen che ha iniziato a lavorare ponendosi l’ambiziosa sfida di guidare la crescita digitale dell’Ue.