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 2019  ottobre 06 Domenica calendario

Gadda, scrivere con la salsa e con le spezie

Carlo Emilio Gadda non disdegnava la civiltà delle macchine: lo «strumentale meccanico della nostra vita». Aveva però un problema di convivenza con le automobili. Ne certificava, con un languore di nostalgia per il passato abitato da «gambe di cavalli e carrozze lucidissime con fanaliere di cristallo molato», la mitologia zoologica e olimpica. Per via delle auto, «alle vecchie stalle si sono sostituiti i garages, i boxes … Al tiepido e vitale profumo delle stalle, ai nugoli di zanzare che le attorniavano, le igieniche, certo, ma rabbiose cateratte delle saracinesche dei boxes: dalle cinque di mattina alle tre e mezzo della notte successiva». E nonostante ciò, sotto il cielo delle città bivaccano «mandrie di automobili allo stato brado che pernottano e svernano all’addiaccio». Una volta, quando le macchine galoppavano a quaranta all’ora per le «strade foranee, non asfaltate», discoprivano le loro pretese olimpiche sollevando «“nembi di polvere” come gli dèi dell’Olimpo quando discendavano nella Troade in soccorso dei rispettivi protetti».
Le macchine hanno reso insonne Gadda, a Roma: «Tutte le notti», scrive lo scrittore, «alle tre vengo svegliato, dopo essermi coricato alla luce, dall’avviamento di un motore sotto la funzional finestra della mia abitazione razionale. Immagino che si tratti di “uno che guida”, e lascio a voi di immaginare perché parte dal Vascello tutte le notti alle tre per andare a nanna a Città Giardino».
A Roma, aggiunge Gadda, «oggi, senza la macchina è difficile vivere, ed io vivo difficilmente». È infatti costretto a farsi «imbarcare» dagli amici motorizzati, che non sempre hanno riguardo per il «prezioso carico», superando il bassissimo limite di sicurezza che, in fatto di velocità, lui ha stabilito. Ma lui, Gadda, a ogni accelerazione, trepidante e pavido, è pronto ad aggrapparsi al freno a mano.
Gadda usa le sue ubbìe come giocattoli che lo allarmano, narrativamente ingolosendolo, però; e dandogli, insieme, una predisposizione cospirativa e stravagante, pur tra tattiche diplomatiche. 
Il brano del racconto sulle automobili fa parte del volume Divagazioni e garbuglio, ottimamente curato per Adelphi da Liliana Orlando: una raccolta di recensioni, anche radiofoniche, di discorsi, di brevi saggi o entretiens (qualcuno recuperato in volume per la prima volta, come quello sulla rivalutazione di Giusti), di frammenti narrativi, su letteratura, lingua e dialetto, arte, spettacoli, tecnica e società, pubblicati da Gadda tra il 1927 e il 1968.
Su recensioni e saggi Gadda aveva le sue idee. Guardava al padre del giornalismo letterario inglese, al settecentesco Joseph Addison, «principe degli essayists»; teneva in conto la capacità che Giorgio Pasquali aveva di tramutare un saggio in racconto; apprezzava Paul Morand, il «suo spirito chroniqueur» che gli faceva «giudicare gli avvenimenti e le cose per pura narrazione». Proponeva «a certi nostri aeropagiti dalle brache quadrettate di estetica, con l’ombrello verde e i fagotti incerati delle loro complicazioni finte», alla loro «prosopopea critica», le tre paginette di Marcel Arland su La fantaisie de Max Jacob come «figurino plausibile di “recensione”». Insomma, i saggi e le recensioni di Gadda sono letteratura sulla letteratura: scrittura che ha una «fisionomia personale», con le sue macchiature linguistiche, con le sue «salse» e «spezie» dentro la spazialità delle divagazioni aggregative nel generale «garbuglio». 
Gadda racconta le poesie di Carlo Porta e i sonetti del Belli. E conclude: «il dialetto può raggiungere più decisi, più concreti resultati che molte volte una lingua piovutane in penna da una tradizione stenta, da una scuola uggiosa: e, per certi disgraziati, nemmen da quelle». Mette in correlazione la poesia di Montale con il paesaggio ligure: «La Liguria terrestre ed equorea è lo spunto da cui move la poesia di Montale: e divien simbolo nell’attuazione della conoscenza e nella consumazione del dolore». Scrive racconti topografici (uno stupendo nell’incipit del saggio su Palazzeschi). Rileva che nei romanzi di Balzac si contano duemila e sessanta personaggi. Conclude che «il caso Balzac si presenta come uno de’più propizi a chi volesse farsi un avvenire impiantando un ufficio anagrafe della popolazione romanzesca». Alla «statistica umana» aggiunge la cartografia, dicendo che all’opera di Balzac si potrebbe attaccare anche «una planimetria di Parigi e una carta della Francia» (cosa che qualche critico ha poi fatto). È giustamente convinto che «tradurre è un mestiere difficile». E se la prende con Quasimodo traduttore «astrattivo» di Catullo, ricordandogli che «l’ideale traduttore di “tutto Catullo” deve scordarsi d’essere una persona ammodo, un buon padre di famiglia: deve attingere dal proprio inconscio e dall’inconscio della propria gente quel tanto di libero linguaggio e di liberata energia che gli basti a riconoscere in sé la libertà làlica del primitivo, del bambino, del dissociato psichico».
Gadda rilegge la novellistica italiana del Quattrocento. E si sofferma sulla Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, «tipo di umanista claustrale»: «una sorta di macchinone allegorico-fantastico-sensorio di una rara stoltezza, redatto in un italiano-latino-greco della più strana qualità, nato dalla solitudine e dalla follia letteraria … La prosa del dissennato umanista perviene (involontariamente?) ai confini della maccheronea e del grottesco e ha perciò una enorme importanza storica».
Manzoni, il cui romanzo viene letto da Gadda sullo sfondo artistico del Seicento caravaggesco (della «violenza misteriosa» e «della carnale disperazione che contrassegnano la pittura del Caravaggio»), è considerato, in più di un saggio, «storico e romanziere senza eguali». E tocca a Gadda difenderlo dalle semplificazioni ideologiche di Carducci prima e di Moravia dopo. Con l’aggiunta di una battuta angosciosa sulla «solitudine», in patria, di un grande scrittore che si vorrebbe relegare «nelle antologie del ginnasio inferiore, per uso dei giovinetti un po’ tardi e dei loro pigri sbadigli».
Divagazioni e garbuglio è un libro-scrigno che raccoglie ed esalta gli estri e gli umori tutti del grande Gadda.