ItaliaOggi, 4 ottobre 2019
Cina, carne di maiale alle stelle
In Cina, l’epidemia di peste suina è diventata un affare di stato in piena guerra commerciale con gli Stati Uniti. A distanza di un anno dalla scoperta, nell’estate 2018, dei primi casi di febbre suina proveniente dall’Africa localizzata nel Nord del paese, che ha fatto strage di maiali, la situazione è diventata grave perché la malattia si è propagata in tutte le province dell’ex Impero di mezzo in assenza di vaccino. La peste suina è molto virulenta e mortale per maiali.Quest’anno la Cina potrebbe perdere il 40% della propria produzione di carne di maiale, secondo le stime della banca agricola olandese, Rabobank, riportate da Le Monde. E potrebbe arrivare al 70% entro la fine dell’anno secondo il ministero cinese dell’agricoltura. Un disastro per il paese che è il primo produttore e consumatore di carne di maiale del mondo, con 54 milioni di tonnellate nel 2018, pari a circa la metà della produzione mondiale.
L’anno scorso il 64% della carne consumata in Cina era di maiale. Il risultato di questa situazione devastante per gli allevamenti cinesi di suini è che il prezzo della carne di maiale è arrivato alle stelle, aumentato del 46,7% in un anno. Troppo. Tanto da aver costretto i consumatori più modesti a cambiare le proprie abitudini alimentari diminuendo il consumo di carne di maiale a vantaggio del pesce e del pollo, che però non piace molto. Per i pensionati che prendono all’incirca 2 mila yuans, pari a circa 252,61 euro, un tale aumento è insopportabile. L’incremento dei prezzi e il calo della domanda penalizza anche i venditori di carne di maiale che perdono soldi.
C’è chi ritiene che l’incremento del prezzo della carne di maiale sia responsabile per oltre un terzo della fiammata dell’inflazione 2019, salita del 2,8% rispetto al 2018, secondo quanto ha riportato Le Monde.
Per fare fronte alla crisi, il governo ha messo a disposizione le riserve strategiche di suini a partire dall’inizio di settembre: sono state vendute all’asta 10 mila tonnellate di carne provenienti dalle riserve nazionali, lotti importati da Danimarca, Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Ma non sono sufficienti a calmierare i prezzi perché le 10 mila tonnellate rappresentano lo 0,2% del consumo mensile di carne di maiale in Cina che è stato pari a 4,7 milioni di tonnellate nel 2018, secondo quanto ha riportato Le Monde.
Una crisi grave per le autorità cinesi che ambiscono a migliorare il livello di vita degli abitanti del paese. Il primo ministro Li Keqiang ha invocato la necessità di provvedimenti d’urgenza di fronte alla crisi diventata una priorità nazionale. Il premier ha insistito sulla necessità di indennizzare i danni subiti dagli allevatori e a introdurre sovvenzioni per incentivarli a rilanciare i propri allevamenti di suini, eliminando anche i paletti ambientali che li vietavano in alcune aree del paese.
Sforzi insufficienti, dal momento che alcuni allevatori si sono lamentati per il fatto che in alcuni casi le autorità locali non hanno riconosciuto la presenza del virus con l’obiettivo proprio di evitare di pagare gli indennizzi. E il divieto di vendere la carne infetta, innocua per l’uomo, deciso dal ministero dell’agricoltura, non è stato rispettato in certe località lasciando vendere la carne di maiale agli allevatori piuttosto che indennizzarli.
Dunque, l’intervento del governo cinese per bloccare la diffusione del virus e limitarne l’impatto sui prezzi si è rivelato inefficace con il risultato che per la prima volta da un decennio a questa parte l’inflazione supererà gli obiettivi fissati dal governo, secondo quanto ha detto a Le Monde, il capo economista per la Cina presso Capital Economics, Julian Evans-Pritchard.