Corriere della Sera, 4 ottobre 2019
Esplode il malessere dei poliziotti francesi
«È il peggiore scenario possibile: un agente che attacca i suoi. Nessun poliziotto può immaginare di venire aggredito da un collega», dice Philippe Capon del sindacato Unsa-Police. Lo choc nella polizia francese è enorme, e la strage «interna» dell’Île de la Cité arriva nel momento più difficile per gli agenti, che già si sentono attaccati e poco difesi all’esterno. Nel 2015, l’anno degli attentati terroristici islamisti, i «flic» erano diventati inusualmente popolari. A gennaio, dopo Charlie Hebdo, e a novembre, dopo il Bataclan e gli altri attacchi sincronizzati, si erano verificate in Francia scene mai viste prima e mai più ripetute: poliziotti salutati come salvatori, applauditi e abbracciati durante i momenti di raccoglimento e le marce in difesa delle libertà repubblicane. Cittadini scossi e impauriti si affidavano agli agenti, garanti della loro sicurezza, in prima linea contro il terrorismo.
Un sentimento di unione e fratellanza che è durato pochi mesi. La ricaduta nella normalità è stata terribile, la forza pubblica che prima rassicurava è tornata a essere vista con ostilità da tanti francesi che scendevano in strada per scioperi e manifestazioni. Le violenze dei teppisti sotto la presidenza Hollande, e poi sotto quella Macron in particolare durante la crisi dei gilet gialli, hanno provocato una repressione durissima decisa dai governi ma eseguita, inevitabilmente, dalle forze dell’ordine.
Per 1.300 euro al mese, i poliziotti sono il bersaglio privilegiato delle pallottole e delle coltellate dei terroristi, ma anche del disprezzo dei francesi che protestano e li considerano il braccio armato dell’ordine costituito. L’emergenza jihadista ha moltiplicato i turni e gli straordinari, e proprio quando il pericolo islamista sembrava dare un po’ di respiro è esplosa la rivolta dei gilet gialli con scene di guerriglia urbana all’Arco di Trionfo e sugli Champs Élysées. I poliziotti francesi sono privi di mezzi, insultati ed esausti. Il risultato è che ogni cinque giorni in media uno di loro si toglie la vita. Cinquantadue suicidi da inizio 2019 a oggi.
Mercoledì scorso 27 mila agenti hanno sfilato a Parigi in una clamorosa «marcia della collera», con 52 bare di cartone e striscioni di questo tenore: «Chi vuole lavorare di notte per 7 centesimi all’ora (la remunerazione netta degli straordinari notturni, ndr)?», oppure «se Amazon avesse le auto della polizia, non consegnerebbe neanche un pacco».
In questo contesto, il sangue versato ieri a due passi dal mitico 36 quai des Orfèvres, storica sede della polizia giudiziaria parigina, moltiplica un malessere che era già oltre i livelli di guardia. Se il movente di Mickael Harpon era personale, la sua azione potrebbe essere considerata un nuovo suicidio – e stavolta preceduto da quattro omicidi – perché l’agente non poteva sperare di uscire vivo impugnando un coltello ancora insanguinato e ignorando l’ordine di fermarsi. Se si tratta di jihadismo, sarebbe ugualmente una catastrofe per il morale della polizia: Harpon aveva accesso a dati sensibili, lavorava nel cuore delle forze dell’ordine, che non sarebbero riuscite a individuare e neutralizzare un inedito nemico interno, un infiltrato.