Quanti biglietti le hanno chiesto?
«Solo gli amici stretti sono dodici: era la normalità quando ero lì, ma da qui a domenica aumenteranno».
Cagliari invece cos’è per lei?
«Qui sono diventato uomo, e giocatore di calcio. È come tornare a casa. Cagliari è piccola, passeggio in centro, mangio una cosa fuori, vado dove mi porta il giorno».
Lì ha conosciuto sua moglie, che da mesi sta combattendo il tumore, trovando anche la forza di mostrarsi senza capelli.
«Claudia è donna forte e sta cercando di trasmettere pubblicamente un messaggio. Io sono più intimo, lei ha fatto una scelta ed è lei che deve decidere: vuol far capire che non bisogna vergognarsi, sono cose che bisogna combattere, una volta che ce le hai l’unica uscita è quella. Sta cercando di parlarne con persone, altre donne che hanno la stessa malattia per incoraggiarle a non vergognarsene mai».
Che società ha ritrovato?
«È un club che vuole diventare più grande a livello internazionale, prima ci lavoravano poche persone, ora il Cagliari dà lavoro a tanta gente: vogliono migliorarsi, c’è lo stadio, un settore giovanile forte».
Dove cresce un certo Brunetto Conti, nipote di Bruno e figlio del suo ex compagno Daniele.
«È uno di casa, la sua famiglia abita sopra di me, in centro, ci vediamo molto spesso. Brunetto potrà fare bene, gli manca un po’ la grinta del papà. Ma ci si può lavorare».
A proposito di Conti, ci aveva pensato di poter diventare una bandiera a Roma?
«Difficile dopo Totti e De Rossi. Ma se mi chiedete se avevo pensato di chiudere la carriera a Roma dico tranquillamente di sì. Lì ero felice, davo l’anima, avevo tutto quello che volevo. È stata una grande delusione andar via. Ma nella vita a volte le strade si riuniscono».
La squadra di oggi le piace?
«Secondo me fa un po’ più fatica oggi perché ha pochi giocatori di personalità. Ci vogliono le "palle" per giocare a Roma: lì è tutto bello, ma quando le cose vanno male e ti fischiano devi aver carattere. Tanti giocatori forti lì hanno steccato».
Il famoso ambiente...
«Sì, le radio, i giornali... ma dai, sono cavolate, queste cose ci sono ovunque».
Meglio l’amore di piazze come Roma e Cagliari o uno scudetto?
«Non ho mai pensato allo scudetto: non ho vinto niente ma non mi interessa, non cambierei nulla della mia carriera. Meglio stare dove mi apprezzano e mi vogliono bene».
Ma è diventato una plusvalenza.
«Assurdo dover vendere per forza i giocatori, così una società non potrà mai vincere. E si trasformano gli uomini in numeri».
L’Inter gioca la Champions e ce l’ha portata lei. Che effetto fa?
«Vero, l’Inter l’ho portata in Champions col gol decisivo, ma il merito è di tutti. Sono contento che siano veramente forti quest’anno, auguro loro il meglio».
E non le dispiacerebbe se vincessero lo scudetto?
«No, dispiacere no. Ma un po’ "rosicherei": secondo me in quella squadra ci potevo stare».
Ma perché Conte, che la voleva al Chelsea, l’ha lasciata partire?
«La società su di me aveva preso una decisione. Lui alla società aveva chiesto dei giocatori. E se vuoi ottenere qualcosa devi anche dare. È strano trattare due anni fa un giocatore dicendo che non ne puoi fare a meno e due anni dopo non calcolarlo più: non mi pare logico».
Lukaku la chiamò quest’estate?
«Sì, l’ho sentito. Mi ha detto che stava andando a Milano, mi ha chiesto di aspettare: "Dai, quest’anno staremo insieme", poi è successo il contrario».
Parliamo invece di razzismo. L’Italia è peggiorata?
«Io credo che il razzismo ci sia sempre stato e temo ci sarà sempre, è nella testa della gente. Ma non si può e non si deve accettare».
Nello spogliatoio si parla mai di temi sociali?
«Sì, del razzismo se ne parla perché fa parte del nostro mondo, ci riguarda da vicino. Altri temi poco».
Che altro la fa arrabbiare?
«Quando perdi e ti prendono per i fondelli. Anche sui social: una volta rispondevo, ora fingo di non aver letto. Certo sono tutti bravi a scrivere, poi quando ho detto "vediamoci e parliamone" sparivano. O dicevano che un amico aveva preso il telefono».
Lei invece ama i tatuaggi: l’ultimo che ha fatto?
«Uno nuovo, è intimo: sul sedere».
Può rigiocare una partita sola...
«Roma-Barcellona per le emozioni. E la semifinale col Liverpool perché vada in modo diverso. La rigiocherei 10 mila volte, c’era rigore per noi con espulsione. Chissà come sarebbe andata».