Evgeni Plushenko, chi è più forte: Sasha, o il padre alla stessa età?
«Lui, non c’è dubbio».
Cosa faceva lei a sei anni?
«Ricordo molte cose. Di sicuro da bambino non ho mai pattinato tanto come si fa oggi: solo una sessione, tre volte a settimana. Ora tutti i pattinatori devono farlo due volte al giorno per sei giorni a settimana».
Compreso il suo Sasha?
«È ovvio. Lui si deve allenare ogni giorno, per due sessioni di quattro ore ciascuna».
Dicono che lei e sua moglie Yana ne volete fare un olimpionico. Ma lei alla stessa età cosa sognava?
«Per me era già tutto chiaro: il mio sogno erano le Olimpiadi, e salire sul
podio come vincitore».
Sua moglie fece scalpore in un’intervista in cui parlava di metodi duri e punizioni. Lei che padre è?
«Sto sempre con Sasha, lavoriamo, viaggiamo insieme. Lo sto spingendo a essere forte, a non arrendersi mai.
A sforzarsi per raggiungere sempre il livello più alto».
Siete pure un fenomeno social, Sasha ha 339 mila follower su Instagram, sono state molto seguite le vostre vacanze in Italia.
«Sì, eravamo su una barca in Sardegna due mesi fa. Io ho un rapporto speciale con il vostro Paese. La prima volta che sono uscito dalla Russia, è stata per partecipare a undici anni a un "summer camp" ad Aosta. L’anno dopo, lo stesso viaggio. Mi dici Italia, e io penso alla gente, alla m oda, a Bocelli con il quale mi sono esibito, lui per me è il ‘Maestro’. Poi c’è Torino, dove vinsi il mio oro».
Già, i Giochi invernali del 2006. In questi tredici anni è più cambiato Plushenko o il pattinaggio artistico?
«Il pattinaggio, senza alcun dubbio.
Ci sono ragazzine quattordicenni che fanno salti quadrupli. Ai miei tempi i giornalisti mi chiedevano: "l’uomo sarà in grado di fare certe sequenze col "Quad"?". Io rispondevo sempre di sì, e le facevo.
Ma stiamo parlando di pattinaggio maschile, nessuno pensava che le ragazze si potessero spingere così avanti. È incredibile».
Lei, tra l’altro, di quadrupli ne ha portati a termine un centinaio in carriera, affrontando continui infortuni e interventi chirurgici.
«È successo tante volte, ma alla fine eccomi qui: tutto aggiustato. Gli sport professionistici, hockey, calcio, tennis, convivono con gli infortuni, pure Federer e Nadal ci sono passati».
È vero che il suo tennista preferito è Agassi?
«No, è Kafelnikov. Ma subito dopo, certo, c’è Agassi».
Sui social si è schierato contro le violenze in allenamento sui bambini.
«Nella mia accademia un’insegnante schiaffeggiava ogni volta la figlia.
L’ho scoperta attraverso le videocamere e l’ho avvertita: "Fai quel che vuoi coi tuoi figli a casa. Ma non nella mia accademia". Non ha capito, l’ha rifatto, a quel punto ho dovuto cacciarla. Nella mia scuola puoi allenare duramente, addirittura urlare, ma il resto non lo permetto».