la Repubblica, 4 ottobre 2019
Rai: giù gli ascolti, cala la pubblicità
Si sono visti, si sono parlati a lungo e alla fine, racconta chi c’era, l’amministratore delegato della Rai è rientrato a Viale Mazzini col cuore più leggero. Certo, l’emorragia di ascolti registrata nella stagione giallo- verde – che la Lega intende addebitare anche a lui, non solo alla direttrice della prima rete Teresa De Santis – è un fardello impossibile da ignorare. Ma il faccia a faccia con Nicola Zingaretti, nuovo editore di riferimento in condominio con il M5s, è andato bene. E ora Fabrizio Salini è ottimista. Convinto pure che la bollinatura al suo piano industriale, bloccato dalla scorsa primavera al ministero dello Sviluppo e ieri rimesso in discussione dal renzianissimo segretario della Vigilanza Michele Anzaldi, sia solo questione di tempo.
Un’altra musica rispetto agli incontri con Matteo Salvini, sempre tesi e improntati alla reciproca diffidenza. Stavolta tutto è filato liscio: il segretario del Pd non ha chiesto nulla, non ha fatto nomi, né rivendicato posti. Ha però invitato i vertici della tv pubblica a vigilare sul rispetto del pluralismo calpestato dall’ondata sovranista nei telegiornali e nei contenitori di punta, sollecitando un riequilibrio degli spazi, in particolare informativi, tuttora monopolizzati dagli uomini del Carroccio e pure di Renzi (rimasti coperti per un po’ e ora riemersi, con sommo dispetto di Zingaretti). Un mutamento di rotta imposto sia dal cambio di governo, sia dal crollo dello share e della pubblicità, che rischia di mettere a rischio i conti dell’azienda.
È la rete ammiraglia l’epicentro della Caporetto Rai che da inizio anno ha trascinato in basso gli ascolti, penalizzato il Tg1 e fatto mancare all’appello decine di milioni di incassi. Da gennaio a settembre la rete ammiraglia ha perso quasi un punto e mezzo sulla programmazione giornaliera e fatto ancora peggio nel prime time, la fascia più importante ai fini pubblicitari: -2,3%. Metà dei punti lasciati per strada, nei primi nove mesi dell’anno, dalle tre reti generaliste: Rai1,Rai2 e Rai3, nel loro insieme, hanno infatti registrato un drammatico -4%. Un botto, che ha allarmato i vertici. Anche per gli inevitabili riflessi sui notiziari. Basta guardare i dati di agosto, mese della crisi di governo: il Tg1 delle 20 ha segnato un pesante -3,9% rispetto allo stesso periodo del 2018; il Tg2 -1,1; il Tg3 -0,3; la TgR -1,2. A guadagnarci è stata la concorrenza: il Tg5 è cresciuto del 3,2%; Studio Aperto dello 0,4; il Tg La7 dell’1,3.Numeri letti con preoccupazione dagli investitori, che hanno iniziato la grande fuga. A raccontarlo sono ancora una volta le cifre: nel 2017 la Rai ha incassato dalla pubblicità 648 milioni, scesi nel 2018 a 635, mentre il 2019 stima un introito di 625. Con una perdita secca, nel biennio, di 23 milioni.
Da qui la necessità di invertire rotta al più presto. Anche se sarà meno facile del previsto. Perché se è ormai certo che la scadenza naturale di Carlo Freccero sulla tolda di Rai2, prevista per novembre, innescherà il valzer dei direttori di rete con la revoca di Teresa De Santis da Rai1, a ballare potrebbe essere pure l’ad Salini. Finito nel mirino di Salvini, che l’ha sempre mal sopportato quand’era al governo e ora è deciso a presentargli il conto. Non è un caso se ieri, a chiedere di convocare per il 17 ottobre un cda straordinario sul crollo degli ascolti, non sono stati i consiglieri Borioni (Pd) e Laganà (dipendenti), che avevano sollevato la questione alla riunione precedente, bensì il leghista Igor De Blasio. Chiara l’intenzione: aprire un processo al responsabile della governance Rai. Imputato numero 1 della debàcle.
Sullo sfondo la nuova maggioranza è in manovra per riempire le caselle più prestigiose. Vincenzo Spadafora ha ripreso in mano la partita per i 5S dopo il breve interregno del filo-leghista Gianluigi Paragone. Per Renzi “trattano” sia l’ex portavoce Marco Agnoletti sia il deputato Anzaldi. Il Pd per ora si tiene alla larga, in attesa di affidare il dossier al sottosegretario Giampaolo Manzella. Alcune posizioni, tuttavia, appaiono già definite: il direttore Stefano Coletta, gradito al centrosinistra, dovrebbe traslocare da Rai3 a Rai1; per la seconda rete è in pole Ludovico Di Meo; per la terza sono in lizza Maria Pia Ammirati e Antonio Di Bella.
Per il momento i telegiornali non verranno toccati. Ma tutti sanno che Monica Maggioni sta facendo carte false per approdare al Tg1 al posto di Giuseppe Carboni, vicino ai 5S, che però dovrebbe restare. Come pure Gennaro Sangiuliano al Tg2.