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 2019  ottobre 03 Giovedì calendario

Il cardinale Menichelli e la morte

CITTÀ DEL VATICANO«Vede, oggi c’è questo problema di fondo. La morte deve apparire bella. Solo che non lo è, mai. La morte è morte». Il cardinale Edoardo Menichelli ha la voce profonda e appena arrochita, era arcivescovo di Ancona quando Francesco nel 2015 gli diede a sorpresa la porpora, un modello del pastore prediletto dal Papa, quello con l’«odore delle pecore». E lui il pastore lo aveva fatto davvero, dopo la morte dei genitori, «badare alle pecore era il lavoro più semplice per aiutare i nonni», raccontava. Oggi il cardinale è assistente spirituale dell’Associazione nazionale medici cattolici. Il clima che si avverte dopo la sentenza della Consulta sul suicidio assistito lo conosce da tempo. «Credo sia arrivato il tempo di rieducarci tutti al senso della vita e della morte. Perché, se non lo faremo, avremo una società che bandirà quelli che soffrono, come scarti».
Fine vita, che cosa cambia? Domande e risposte Prev Next Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che cosa cambia per i pazienti che ritengono le proprie sofferenze intollerabili? Eminenza, lo scrittore Antonio Scurati scriveva sul Corriere che «ogni individuo deve poter scegliere liberamente, non solo come e dove vivere, ma anche quando porre fine alla propria esistenza in base alla sua personale, irriducibile, inalienabile concezione della dignità di essa». È una convinzione che appare sempre più diffusa. Lei avverte una difficoltà a spiegare le sue ragioni, oggi, anche ai cattolici?
«La avverto sì, soprattutto nel parlare ai giovani. La realtà della morte e del dolore sono esorcizzate dal mondo contemporaneo. Che peraltro li circonda di guerre, delitti, sangue: e i nostri ragazzi che giudizio ne possono mai avere?».
Abbiamo rimosso la morte?
«Direi proprio di sì. Eppure è l’unica nemica che abbiamo. Ed è una nemica che non possiamo sconfiggere. Poi, certo, chi ha fede nella resurrezione sa che non rappresenta la fine, ma questa mia speranza non la posso imporre con una iniezione di fede. Siamo di fronte a un problema molto serio».
Che genere di problema?
«Un problema educativo. Spero che il pronunciamento della Consulta sia un’occasione di discussione serena, senza scontri all’arma bianca, ma rispettosa del mistero che ci portiamo addosso. Dobbiamo abbandonare le posizioni di parte e riconoscere il mistero della nostra vita e della nostra morte. Sappiamo ben poco. La vita la riceviamo per dono, non sappiamo quando viene né quando finisce. Di fronte a tutti, senza giudicare nessuno, mi permetto di richiamarne la sacralità e la bellezza. La vita è bella in se stessa. La bellezza è che ci sia: ogni persona c’è. Tutti vorrebbero una vita senza dolore ma, di fatto, non è così. La vita è un cammino, una vigilia misteriosa. E sono convinto valga anche quando non è feconda o produttiva. Che si debba celebrare la vita in pienezza, con le possibilità e i doni che uno ha, senza pretendere che sia diversa e singolare. La vita è, semplicemente».
Ma qui non si tratta della vita. Si tratta del dolore che si fa insopportabile, della sofferenza fisica e psicologica. Della libertà di ciascuno di poter dire: basta.
«Di fronte al morire non è vero che dobbiamo sopportare la croce all’infinito. Non sto dicendo questo. La Chiesa è contro qualsiasi forma di accanimento e di cura sproporzionata. Ma esistono, per lenire il dolore, le cure palliative. Il problema è: se anziché lenire il dolore lo assumiamo come criterio per interrompere la vita, dove cominciamo, qual è la linea di demarcazione? Vogliamo creare una società di perfetti? Se si arrivasse ad una legislazione bisognerà pensarci bene, perché aprire strade pericolose è facilissimo mentre è assai difficile tornare indietro».
Ciascuno lo decide per sé, non siamo liberi?
«La libertà Dio non l’ha mai conculcata. I suicidi esistono, ci sono sempre stati. E io credo che un suicida troverà sempre il Dio misericordioso che sa leggere nel labirinto della nostra vita. Ma un conto è questo, un altro che io chieda a qualcun altro: fammi morire. Pensi a un medico: come la mettiamo con la sua coscienza? Lo Stato obbliga un medico a fare quello che gli dico io?».
Marco Cappato ha spiegato che in Paesi come la Svizzera il medico non è obbligato a nulla e si limita a «prescrivere la sostanza letale»…
«Un medico non prescrive medicinali di morte, ma per curare. Deve rispondere al suo giuramento, al suo codice professionale, alla sua coscienza».
Lo Stato non obbliga nessuno, lascia che ciascuno abbia la libertà di scegliere.
«Lo Stato ha questo potere? Il potere di legiferare sul nascere e sul morire? Se io decido di morire lo Stato mi deve dire sì? E in base a che cosa si stabilisce chi deve nascere e chi morire? A una convenzione sociale? Ma di convenzioni ne cambiamo una al mese. Non tutto ciò che è legale è anche morale. No, l’unica cosa da fare è dibattere, approfondire. E per chi crede, mi faccia aggiungere, invocare l’aiuto di Dio».