Il Sole 24 Ore, 3 ottobre 2019
Il rifugio perduto dei titoli di Stato
C’erano una volta i titoli di Stato che offrivano un rifugio sicuro ai risparmiatori, una valida protezione in caso di tempeste che coinvolgessero la Borsa e quindi da inserire in un portafoglio in primo luogo per bilanciare i rischi azionari. L’anomalia dei tassi zero (o addirittura negativi) dei bond, che gli esperti chiamano anche «repressione finanziaria», ha però spazzato via anche questa certezza. Lo dimostra il fatto che per compensare un calo del 10% degli indici azionari (evento tutt’altro che raro) un titolo di Stato decennale Usa dovrebbe quasi azzerare il proprio rendimento, mentre al Bund tedesco sarebbe richiesto di scendere addirittura a quasi -2 per cento: impensabile probabilmente, anche in caso di profonda recessione.
A misurare l’evidente paradosso sono stati gli analisti di Vontobel, recentemente a Milano per presentare le proprie strategie sul reddito fisso agli investitori. Immaginando un tipico portafoglio bilanciato, costituito per il 60% da azioni e per il 40% da bond governativi di una particolare regione, gli strategist della banca elvetica giungono alla conclusione che per compensare un’eventuale perdita del 10% patita da Wall Street il Treasury decennale, cioè il titolo di Stato Usa, dovrebbe salire così tanto di prezzo da abbattere allo 0,12% il rendimento (al momento all’1,62%). Peggio ancora andrebbe al Gilt britannico, che dovrebbe ribaltare la situazione attuale passando da un tasso positivo dello 0,47% a uno negativo dello 0,88% (sarebbe la prima volta nella storia per il decennale del Regno Unito) mentre il Bund potrebbe contrastare un calo del 10% di un indice europeo soltanto crollando a -1,92 per cento.
Ma se per la Federal Reserve sarebbe tutto sommato ancora teoricamente possibile portare i tassi degli Stati Uniti su quei livelli (anzi, è ciò che polemicamente Donald Trump richiede a suon di tweet al presidente della Banca centrale Usa, Jerome Powell) non altrettanto si può dire per l’Europa e la Germania, dove i livelli sono ben più tirati e le armi a disposizione della Bce iniziano a scarseggiare. «Non esiste una situazione in cui il Bund possa scendere su livelli simili, a meno che non si verifichi uno scenario drasticamente negativo per il quale l’unico strumento degno della fiducia dei risparmiatori al mondo sia un titolo di Stato che rende -2%», ammette Ludovic Colin, capo del team Global Flexible Investment di Vontobel Asset Management.
Non è detto che gli investitori si siano ancora accorti di una trappola simile «ma spero che lo facciano prima che avvenga», si augura Colin, che trae però le conseguenze di un potenziale disinnamoramento del pubblico verso i bond sovrani. «Le strategie bilanciate potrebbero perdere interesse ad acquistare ulteriori titoli a reddito fisso e questo potrebbe contribuire allo scoppio di quella bolla che molti temono», avverte il gestore, che mette in guardia anche nei confronti di un altro fenomeno: la quasi impossibilità dei titoli di Stato di offrire agli attuali livelli di prezzo o di rendimento un qualsiasi ritorno positivo a un investitore europeo.
Chi compra adesso un’obbligazione con tasso negativo (in pratica paga il debitore per prestare denaro) lo fa puntando su un’ulteriore riduzione del rendimento, in modo da rivenderla in futuro a un prezzo più elevato e realizzare quindi un guadagno in conto capitale. «Il problema – spiega ancora Colin – è che a certi livelli i capital gain potrebbero non essere sufficienti a compensare la repressione finanziaria che rende negativi i tassi dei Bond». Vontobel avverte per esempio che, anche se il tasso del titolo a due anni tedesco si riducesse nei prossimi 12 mesi di ulteriori 50 centesimi rispetto ai livelli attuali, il rendimento total return (che comprende cioè la rivalutazione del capitale e le cedole incassate) rimarrebbe negativo per lo 0,1 per cento.
L’investitore europeo avrebbe quindi perso denaro in questo arco temporale, e la stessa scena si ripeterebbe con acquisti di titoli di Stato Usa, britannici o giapponesi in caso di copertura del rischio cambio. Per ottenere qualcosa occorrerebbe aumentare la durata del bond (10, o addirittura 30 anni), mutando però radicalmente il grado di rischio dell’investimento oppure «emigrare» in Gran Bretagna o Stati Uniti, perché anche il risparmiatore giapponese si troverebbe più o meno nella stessa situazione come si vede nella tabella a fianco. «Le strategie che utilizzano il rendimento come principale fonte di performance sono da evitare, perché si rischiano di risolversi in una perdita di denaro», taglia corto Colin. Tempi comunque difficili per chi cerca di fare denaro sui titoli di Stato, un mercato ormai condizionato dai paradossi creati dalle Banche centrali.