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 2019  ottobre 03 Giovedì calendario

Agricoltura, 1 miliardo di danni dalle cimici

L’ultima, la Bactrocera Dorsalis – o mosca orientale della frutta – è sbarcata meno di due mesi fa all’aeroporto di Napoli. Nascosta in un mango, portato in giro da un ignaro passeggero. Non ci sono solo la Xylella che ha seccato gli ulivi pugliesi, o la cimice asiatica che è già costata 350 milioni di euro soltanto alle pere e alle pesche del Nord Italia. Ci sono anche il moscerino killer delle ciliegie e il cinipede galligeno dei castagni. Il punteruolo rosso delle palme e il coleottero africano del miele. Il batterio Pseudomonas actinidae che provoca il cancro del kiwi e il virus Sharka che colpisce le prugne.
Agrinnova, il centro per l’innovazione agroambientale dell’Università di Torino, ne ha contati almeno 63: sono i nuovi patogeni sbarcati nel nostro Paese un po’ per colpa della globalizzazione degli scambi, e un po’ aiutati dal cambiamento climatico e dal surriscaldamento terrestre. Potenzialmente, ciascuno di loro potrebbe diventare la prossima Xylella e minacciare seriamente la produzione agricola italiana. Emergenze vere, che per il nostro Paese possono arrivare a costare un miliardo di euro all’anno.
Tra gli osservati speciali c’è il moscerino dagli occhi rossi, nome scientifico Drosophila Suzukii. È sbarcato dalla Cina in Italia nel 2009, i primi avvistamenti sono stati in Trentino Alto Adige: «È arrivata coi lamponi e ora si sta allargando alla ciliegia e persino all’uva, il che significa una bella minaccia per la nostra industria del vino», racconta il professor Bruno Mezzetti, dell’Università Politecnica delle Marche, che ieri a Roma ha presentato il progetto iPlanta con il quale si cerca di dare una risposta innovativa a queste emergenze fitosanitarie (si veda l’articolo a fianco).
A livello europeo, è invece entrata in vigore due giorni fa la Decisione comunitaria con le indicazioni per segnalare, contenere e distruggere il virus ToBrfv: «Colpisce pomodori e peperoni – spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti – è diffuso negli Stati Uniti e in Israele e in Italia è già stato segnalato, ma si tratta ancora di casi sporadici».
Le castagne hanno già pagato un conto salatissimo per colpa del cinipide galligeno del castagno, il Dryocosmus kuriphilus, proveniente dalla Cina che provoca nella pianta la formazione di galle, contro il quale è stata avviata con successo una capillare guerra biologica attraverso la diffusione dell’insetto Torymus sinensis, suo antagonista naturale. La produzione made in Italy di miele invece, ricorda sempre la Coldiretti, è minacciata da due insetti killer, il calabrone asiatico (Vespa velutina) e il coleottero africano (Aethina tumida) che mangiano e rovinano il miele, il polline e soprattutto la covata, annientando la popolazione di api o costringendola ad abbandonare l’alveare. In passato c’è stato anche il punteruolo rosso, originario dell’Asia, che dal 2004 ha fatto strage di palme in varie regioni italiane, dalla Liguria alla Sicilia.
Come arrivano, tutti questi patogeni? Viaggiano nelle cassette di frutta, oppure attaccate ai semi. Oppure ancora trasportate dalle persone: «La cimice asiatica, per esempio, si annida nei vestiti: le autorità neozelandesi – racconta Bazzana – che insieme a quelle australiane sono tra le più all’avanguardia nel contrasto ai patogeni fitosanitari, hanno addestrato i cani a riconoscerle e li hanno sguinzagliati negli aeroporti». Proprio come si fa con la droga.
«Sotto accusa è il sistema di controllo dell’Unione europea con frontiere colabrodo come quella del porto di Rotterdam – denuncia il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini –. La Ue consente l’ingresso di prodotti agroalimentari e florovivaistici senza che siano applicate le stesse cautele e quarantene che devono invece superare i prodotti nazionali quando vengono esportati, dopo estenuanti negoziati e dossier che durano anni». La prima risposta, insomma, è quella di intensificare i controlli: «Occorre restituire un organico adeguato agli uffici della vigilanza fitosanitaria – aggiunge Bazzana – e poi intensificare la ricerca sui mezzi e sui ritrovati per neutralizzare i nuovi patogeni».