ItaliaOggi, 3 ottobre 2019
Periscopio
Ai nuovi balzelli si arriverà balzellon balzelloni. Dino Basili. Uffa news.C’è chi preferisce un passerotto in mano che un tacchino sul tetto. Pier Luigi Bersani, ex segretario Pd.
Perché l’Europa non è più la signora della storia e rischia anzi di essere spiazzata dalla storia, restandovi solo come un mero agglomerato demografico? Giulio Tremonti, La paura e la speranza. Mondadori, 2008.
Cado in ginocchio e prego senza sapere chi. Walter Siti, Exit strategy. Rizzoli, 2014.
II deep fake finisce per alimentare lo scetticismo credulone. Si dubita di tutto, ma si è disposti a credere ancora a qualcosa, purché sia incredibile. Massimo Gramellini. Corsera.
George Clooney è la star dei democratici, che ufficialmente sta facendo fundraising per il partito, se i borbottii di alcuni addetti ai lavori corrispondono al vero. Potrebbe essere lui la carta a sorpresa che Barack Obama, ospite la scorsa estate nella villa sul lago di Como dell’attore e regista statunitense, lancerebbe all’ultimo momento per sbaragliare il campo, soprattutto ora che Joe Biden è comunque azzoppato dall’inchiesta Ucraina. Il fatto che sia un attore con tanto di Oscar alle spalle non deve preoccupare. Anzi, è ancora vivo negli americani il ricordo di Ronald Reagan, non solo come grande presidente degli Stati Uniti, ma soprattutto come divo di Hollywood. Luigi Bisignani. Il Tempo.
I ragazzi di Greta, pensavo mentre li guardavo scorrere, sono scesi in piazza con la benedizione di ministri e presidi. Una contestazione giovanile apprezzata, accolta, persino incoraggiata dai «grandi». Noi, nel ’68, dal quale peraltro ho anche dissentito, non lo avremmo mai fatto. Magari non sapevamo contro cosa davvero eravamo «contro», però un fondo di ribellione era autentico. Avevano facce più arrabbiate, i miei compagni. Questi vanno in piazza con i professori e magari anche la mamma, ma la loro protesta ha una radice, una competenza, una consistenza? Magari studieranno, se la costruiranno. Per ora, forse hanno ubbidito al nuovo mainstream mondiale impersonato dalla bambina Greta, icona forte, radicale e pura con le sue trecce, come una Giovanna d’Arco. Solo il tempo, dirà se la rivoluzione è vera. Marina Corradi, scrittrice. Avvenire.
A volte non è facile far capire ai giornalisti che bisogna scrivere per i lettori. Una redazione deve rispecchiare la società cui si rivolge. La nostra è formata per metà da donne e abbiamo anche assunto colleghi di origine iraniana, turca, marocchina, polacca, visto che l’immigrazione riguarda un quarto dei tedeschi. Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Mi hanno proposto lo Zecchino d’oro. Ma io non voglio fare da tappabuchi, anche perché non penso di meritarlo. E sono anche stufa di fare come in passato: partivo lancia in resta e mi trovavo da sola con la spada sguainata. Antonella Clerici, presentatrice tv (Renato Franco). Corsera.
Figura davvero unica Pavel Florenskij. A lungo ignorato, la sua opera principale, La colonna e il fondamento della verità, fu pubblicata in Italia dalla casa editrice Rusconi. Bisogna dare atto a quella casa editrice e soprattutto a Elémire Zolla di avere introdotto con straordinario intuito un filosofo allora del tutto sconosciuto in Italia. Il mio apprezzamento per Zolla, inviso ai marxisti degli anni Settanta non è per me un apprezzamento tardivo. Del resto, non fu soltanto Florenskij l’unica sua scelta editoriale felice. Autori come Marius Schneider, Guido Ceronetti, Simone Weil, Eric Voegelin, Giorgio de Santillana o anche Tolkien, del quale aveva imposto Il signore degli anelli, erano totalmente estranei all’egemonia culturale del marxismo. Silvano Tagliagambe, filosofo (Antonio Gnoli). la Repubblica.
La progressione automatica della carriere dei magistrati non esisteva con la Monarchia e neppure nei primi 20 anni della Repubblica. Fu introdotta nel 1966 dalla Dc, il partito dominante, che volle ingraziarsi i magistrati con quel gigantesco regalo. Toccò a un deputato vicentino, Uberto Breganze, avvocato, presentare la legge (numero 570) e farla approvare, il 25 luglio di quell’anno. La Breganze, come fu detta, aboliva il concorso per esami, fin lì previsto, per la promozione del magistrato di primo grado a giudice d’Appello. Un filtro opportuno che serviva a stabilire l’idoneità del candidato a ruoli più complessi e responsabilità più alte. Con la 570, la prova fu sostituita dal banale passaggio del tempo: dopo 11 anni, durante i quali poteva anche essersi appisolato, il pigro impreparato, saliva sul podio come il collega serio e sveglio. La meritocrazia sparì dalla magistratura, lasciando il posto all’attuale corpaccione in cui ignavi e capaci sono posti sullo stesso piano. Con assoluto divieto di distinguere tra loro. Essendo, per bando divino, tutti uguali, soggetti solo alla legge che ciascuno interpreta a capriccio, monadi intoccabili, repubbliche a sé, impuniti nell’errore e impunibili nelle responsabilità, nel portafoglio e nel risarcimento. Giancarlo Perna. LaVerità.
Ho assistito ai crimini più efferati e la prima domanda al killer era: cos’è, per te, la morte? La risposta era: «Ma cosa c’entra. Non lo so». Conoscono solo il telefonino, le scarpe nuove. Fanno paura perché compiono atti inaccettabili: uccidere è un mezzo per togliere un ostacolo, fare gli eroi del sabato sera è una modalità per riempire lo spazio nei social. Ma è possibile raccontare un delitto al social e non al padre o al prete? Vittorino Andreoli, psichiatra (Alessandro Belardetti). Quotidiano Nazionale, QN.
Il giudizio (se il prete aveva predicato bene o male) considerava molto meno i contenuti delle qualità attoriali: il timbro della voce, gli effetti, la gesticolazione, la sapienza delle pause. Perfino il rito della Messa: c’era quel prete che la diceva bene e quell’altro, che la diceva male, quello che la tirava via come a sbrigarsi d’un incomodo, quello che la faceva troppo lunga, quello che interpretata la parte con ispirazione e fervore. Piergiorgio Bellocchio, Piacenza passato prossimo. La Luna nel pozzo, 2005.
Il pacifismo di mio padre Mario non fu mai una resa a un buonismo imbelle, non fu il volémose bene un po’ ipocrita di tanti privilegiati, e a guardar bene non fu neppure mai disarmato. Infatti come è noto andava a caccia, e non ha mai voluto rinunciare ai suoi preziosi fucili, sempre oliati e bene in ordine. Gianbattista Rigoni Stern (Gian Antonio Stella). Corsera.
Le rivoluzioni cambiano la Storia insanguinandola. Roberto Gervaso. Messaggero.