Libero, 3 ottobre 2019
«Raffaello era un malato di sesso»
Alla vigilia delle celebrazioni per il cinquecentenario della morte, Vittorio Sgarbia porta in scena Raffaello Sanzio. Con le musiche di Valentino Corvino e con il contributo di sei giovani videomaker lo spettacolo dedicato al Maestro di Urbino – che andrà in scena al Teatro Olimpico di Roma, dal 9 al 13 ottobre – si preannuncia una sorpresa per il taglio della sua biografia che mai nessuno avrebbe osato immaginare. Il fanciullo rimasto orfano di padre ad appena nove anni, cresciuto alla bottega del Perugino, divenuto il prediletto dei Papi Leone X e Giulio II, soprattutto il più celebre ritrattista di Madonne di tutti tempi, era infatti schiavo delle sue passioni carnali. E Sgarbi proprio su questo punterà. «Raffaello», spiega il critico d’arte, «è il nostro più grande pittore, un filosofo, un sistematore di idee. Dipinge in presenza di Dio. Anzi è come se Dio fosse nel suo pennello. Prolunga il tempo della Creazione. Ha un solo punto dove appigliarsi per il racconto: la sua ossessione maniacale per il sesso e le donne». «Una sorta di Strauss-Kahn del ’500», lo definisce Sgarbi ricordando come «Vasari racconta che non può dipingere senza appagare i suoi sensi. A 17 anni si mette a fare i capricci quando non gli portano la Fornarina perché non può fare sesso con lei». Ma lo spettacolo sarà soprattutto un racconto di meraviglie proprio per quella infinita galleria di capolavori realizzati in appena 37 anni di vita. «Per fortuna Raffaello non visse di più o lo spettacolo sarebbe durato sei ore», puntualizza sorridendo Sgarbi. «Già nel 1504, a 21 anni, aveva raggiunto la perfezione con lo Sposalizio di Brera. Raffaello è uno che dipinge cinquanta Madonne e non ce n’è una uguale all’altra. Con l’Estasi di Santa Cecilia e gli strumenti ai suoi piedi dipinge la prima grande natura morta. Francesco Francia, che si credeva il Raffaello di Bologna, quando vede una sua opera muore d’infarto». Nello spettacolo, anticipa Sgarbi, si ripercorrerà il rapporto, sereno, con Michelangelo e anche l’illuminazione davanti alla Gioconda di Leonardo, alla base dei suoi dipinti femminili, l’influenza sui pittori del nord. E poi le due opere che arriveranno in Italia dal Louvre «per un felice scambio del ministro Franceschini con l’Uomo di Vitruvio e un paio di opere minori di Leonardo: ovvero il Baldassarre Castiglione, per me il più bel ritratto al mondo, e l’autoritratto, in cui Raffaello somiglia un po’ a Depardieu, con davanti un giovane, che sembra chiamare le ragazze per lui». «È la più rognosa di queste avventure», conclude Sgarbi. «Caravaggio era più facile per l’accostamento a Pasolini. Michelangelo è universale. Leonardo è meraviglioso perché è un incapace totale, un dilettante – una specie di Di Maio che senza aver mai lavorato crea il diritto di cittadinanza – che fa 4 dipinti, uno più brutto dell’altro, ma unici nei concetti. Raffaello, invece, è un genio che non ha bisogno di me, né del mio racconto».