Libero, 3 ottobre 2019
In India sterilizzano le contadine
Sterilizzate per divenire produttive sul lavoro: è questo il tragico destino cui vanno incontro le raccoglitrici di canna da zucchero nella regione di Marathwada, in India. A renderlo noto è stata un’organizzazione non governativa che, insospettita dall’enorme numero di donne sottoposte ad isterectomia nel distretto di Beed, ha indagato su un trend così inspiegabile: attraverso l’asportazione dell’utero alle contadine, il datore di lavoro si garantirebbe la loro totale efficienza; l’indisposizione periodica si traduce infatti nell’incapacità di svolgere le usuali manzioni nei campi, ma intervenendo chirurgicamente si eviterebbero i grattacapi del ciclo e le conseguenti assenze della fanciulla sofferente. Questo a beneficio del raccolto, dinanzi al quale tutto può attendere, inclusa la dignità di chi provvede a mieterlo. I numeri rivelati dalle indagini sono impressionanti: il 36% delle contadine sarebbe stato sottoposto ad isterectomia, e benché risulti difficile convincersi che le fanciulle abbiano subito l’intervento arbitrariamente, gli appaltatori non vogliono saperne di addossarsi la responsabilità di una simile violenza ai danni delle subalterne. Il tran tran di queste manovali è estenuante: cominciano a lavorare dalle quattro del mattino per dodici ore consecutive, senza alcuna assicurazione, e con il sole cocente che amplifica il disagio dovuto ai ritmi serrati. Un’attività così intensa, tuttavia, frutta loro appena 30-35mila rupie a stagione, l’equivalente di 380-450 euro. Ma vi è dell’altro: i datori di lavoro, favoreggiati dalla connivenza dei medici locali, esorterebbero le dipendenti a sottoporsi ad isterectomia insinuando in loro il timore di cancro endometriale. Il trattamento postoperatorio prevede il riposo totale, ciononostante le degenti vengono dimesse sin da subito, così da rendersi funzionali al raccolto al più presto possibile. A destare sgomento, in tempi non sospetti, fu anche un’inchiesta della BBC che rivelò i soprusi subiti dalla lavoratrici del settore tessile del Tamil Nadu, le quali vengono drogate per impedire ai dolori del ciclo di renderle inoperose. L’aberrante trattamento – ricco di effetti collaterali – fu suffragato dalle testimonianze di ben 100 intervistate. Le realtà messa in luce dalle Ong locali e dalle emittenti tv, d’altronde, non sono che l’ennesima barbarie ad opera di un paese in cui, nascere femmine, è ancora considerato un reato: secondo un’indagine della ricercatrice Nandita Saikia, in India morirebbero almeno 239mila bambine l’anno vittime di maltrattamenti, indigenza e malnutrizione. I genitori, per sopperire alla “sciagura” di una discendente femmina, sceglierebbero sovente di sopprimerla inducendole la polmonite, avvelenandola con erbe tossiche o seppellendola viva, L’infanticidio, in India, è comune oggi come non mai, poiché le leggi locali proibiscono ai medici di comunicare il sesso del nascituro per scongiurare il rischio di aborto selettivo. Superato il quinto anno di vita, per le bimbe, le probabilità di sopravvivere aumentano esponenzialmente, ma germoglieranno in una società maschilista alla quale dovranno scegliere se soccombere o ribellarsi, facendo di loro medesime delle attiviste al servizio delle generazioni di domani. Le fanciulle indiane che optano per la seconda alternativa non sono poche.