Libero, 3 ottobre 2019
Ricordo di Jessye Norman, il soprano che fece un solo errore
A luglio hanno fatto trent’anni dalla morte del Maestro Karajan. Ho ricordato che finì la mattina di un giorno nel quale, il pomeriggio, avrebbe dovuto dirigere a Salisburgo la prova generale di Un ballo in maschera. Il tutto fu così improvviso che la moglie era andata dal parrucchiere, e l’unico presente, oltre al cameriere, era un giapponese in colloquio d’affari che per l’emozione ebbe un mezzo infarto anch’egli. Così l’ultimo documento che ci resta di Karajan direttore è il filmato d’un’incisione del finale del Tristano e Isolda di Wagner, che tradizionalmente si definisce il Liebestod, ossia “la morte d’amore”. È l’amore per il suo Tristano appena morto attendendola che dona all’eroina la forza per partire da sé per il dunkle Reich, il Regno Oscuro. In quel filmato, Jessye Norman canta non solo in modo sublime, ma con una reverenza verso il Maestro, una fusione rispetto a ciò ch’egli da lei desidera, che questo pezzo musicale è davvero un Liebestod. E ora forse questo Liebestod si è realizzato. Anche perché l’altro ieri, all’improvviso, Jessye se n’è andata. Aveva solo settantaquattro anni e faceva ancora qualche concerto di gospel e affini. Ma non so se noi italiani siamo consci ch’è morto uno dei più grandi soprani del Novecento. Uno di quei personaggi che bastava entrasse in scena perché tutto si paralizzasse, da lei elettrizzato. Come accadeva con la Callas, e come non sempre accadeva con la Tebaldi, sebbene la divina Renata avesse una voce più bella e cantasse meglio. il rammarico La Norman si è dedicata poco all’Opera italiana. È stato un grande errore da parte sua, un grande errore da chi non l’ha sollecitata abbastanza. Quale Aida, quale Violetta, quale Leonora (del Trovatore e della Forza) sarebbe stata! Dalla sua perfetta dizione francese e tedesca, immagino che possedesse, o avrebbe potuto possedere, una pronuncia italiana altrettanto perfetta. Ma non a caso ho citato la Callas e la Tebaldi. Ella è stata uno dei più grandi soprani drammatici di coloratura degli ultimi decenni (genere quasi estinto), ma possedeva un’impostazione lirica, nei fiati, nel fraseggio, nelle lunghe respirazioni. Era come una fusione del meglio delle due. Il suo maestro è stato il grande baritono francese Pierre Bernac, ma la tecnica di canto sua era fondamentalmente italiana. Ecco perché, come Isolde, Brühnnilde, Elisabetta, Kundry, era superiore alle gigantesse classiche del canto wagneriano, Kirsten Flagstadt, Birgit Nilsson – e secondo me pronunciava addirittura il tedesco meglio di loro. Wagner avrebbe sempre desiderato che la sua musica venisse interpretata con la tecnica italiana. la fatica di emergere Poi era una regina anche nella musica francese. Il suo Berlioz non ha confronti. E siccome i grandi tragici sanno essere grandi comici, ha eseguito una volta l’Operetta di Offenbach La Grande Duchesse de Gerolstein: dove in francese, oltre che cantare, recita. Con una tale grazia che non sai se ridere o commuoverti. Regina era anche nel Lied: tedesco, francese. Quelli di Fauré. Le chant de l’amour et de la mer di Chausson, con la bacchetta di Riccardo Muti, una delle più belle incisioni mai realizzate. Non l’ho mai conosciuta. Ma provate a immaginare: negra, pesante quasi un quintale: chissà quale lotta avrà dovuto affrontare, alla fine degli Anni Sessanta, per affermarsi in un paese come gli Stati Uniti. Poi l’hanno glorificata; ma perché aveva già vinto. www.paoloisotta.it