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 2019  ottobre 03 Giovedì calendario

Se 26mila euro sono diventati il confine della ricchezza

Q uando fu annunciato che il ticket sanitario sarebbe stato differenziato sulla base dei redditi (esigendo di più da quanti hanno entrate elevate), molti ebbero l’impressione di trovarsi di fronte all’ennesima decisione volta a penalizzare i ricchi. Un governo che si regge sull’alleanza tra la sinistra post-comunista, il Pd, e l’estrema sinistra post-moderna, i Cinquestelle, era fatalmente portato a riabilitare il risentimento di classe, con l’obiettivo di colpire quanti guadagnano tantissimo. Nelle parole di Roberto Speranza, «oggi non conta se sei miliardario o in difficoltà economica: al di là delle soglie di esenzione, si paga sempre la stessa cosa». Il nuovo governo socialpopulista (...)
(...) annunciava allora di porre rimedio colpendo i più facoltosi. 
Alla luce delle ultime informazioni diffuse, però, le cose potrebbero non stare così. Per quanti sono al governo sembra che si inizi a essere ricchi da 26mila euro lordi all’anno: una cifra con cui è difficile vivere in città come Milano o Roma, ma anche in tante altre parti del Paese. In effetti, il taglio del cuneo fiscale avrà luogo solo per quanti sono al di sotto di quella soglia e lo stesso vale per il bonus da 40 euro. Più che colpire i Paperoni, allora, qui si rischia di tosare l’intera micro-borghesia del paese: quanti già fanno fatica ad arrivare a fine mese e devono lottare per coprire i costi del mutuo, soddisfare le esigenze principali dei figli, sopportare gli oneri dell’automobile. La cosa non è sorprendente, dal momento che larga parte della cultura politica progressista non è più orientata – come in passato – a fare stare meglio quanti stanno male, ma intende invece costruire una società all’insegna dell’austerità, della rinuncia ai consumi, della frugalità. L’incontro tra l’ecologismo radicale e la teoria della crescita può produrre questa mostruosità: considerare «ricchi» o «quasi ricchi» anche coloro che, in sostanza, hanno un reddito da primo impiego, e non necessariamente molto qualificato. Chi in questi anni si è pronunciato sul reddito di cittadinanza, anche con toni critici, spesso non ha sottolineato a sufficienza come stia affermandosi una visione della vita che tende a prefigurare un medesimo reddito per tutti, e per giunta assai basso: quale condizione della cittadinanza e non necessariamente in correlazione con i servizi offerti e i giudizi espressi dagli altri (e quindi dal mercato). Il pauperismo che avanza è funzionale alle logiche di questa ideologia tardo-socialista, perfino disposta a esaltare la miseria in sé, e pure al servizio degli interessi di un ceto politico che sarebbe felici di averci tutti senza un euro e costretti a metterci in fila per mendicare l’aiuto di Stato.