Il Messaggero, 3 ottobre 2019
Il passato da hater del ministro Fioramonti
Sei anni fa il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti era quello che si direbbe «un cervello in fuga». Professore associato di Economia politica all’Università di Pretoria, in Sud Africa, nello stesso ateneo dirigeva il Centro per lo studio dell’innovazione della governance. Incarico che, stando al suo curriculum nella sezione «Amministrazione trasparente» del Miur, ha mantenuto fino al marzo 2018, quando alle ultime elezioni politiche è stato candidato dal Movimento Cinque Stelle alla Camera nel collegio uninominale di Roma-Torre Angela. Una volta eletto, è diventato viceministro all’Istruzione nel precedente governo gialloverde. Economista «eretico» e nemico del Pil, in questi giorni è alla ribalta delle cronache politiche per alcune sue proposte quantomeno singolari. Prima le tasse su bibite gasate e merendine, poi l’eliminazione del crocifisso dalle aule scolastiche. Travolto dalle polemiche, il ministro ha fatto marcia indietro: «Quello sul crocifisso è un vespaio mediatico, non è una priorità».Alcuni lo hanno già soprannominato «il nuovo Toninelli» per via delle gaffe, ma per comprendere nel suo complesso la personalità di Fioramonti bisogna tornare indietro al 2013. Visto con la retrospettiva di Facebook, il futuro ministro viene fuori come una «Doctor Jekyll e Mister Hide» che si mostra attraverso i commenti sulla politica italiana «sputati fuori» con la rabbia di un giovane docente expat. Fioramonti guardava in diretta i talk show italiani, come Servizio pubblico di Michele Santoro, ed esprimeva giudizi sferzanti, senza risparmiare gli insulti. Daniela Santanché diventava un bersaglio per la sua fedeltà di allora a Silvio Berlusconi e per il suo aspetto fisico. Stesso trattamento per Giuliano Ferrara, all’epoca direttore del Foglio. Al centro delle invettive del giovane Fioramonti anche le Forze dell’Ordine, il tutto dopo aver visto il film Diaz sui fatti del G8 di Genova. C’è un commento tranchant perfino sull’attentato davanti Palazzo Chigi del 28 aprile 2013 ad opera di Luigi Preiti il giorno dell’insediamento del governo Letta.Qualche anno prima, invece, nel 2009 Berlusconi veniva additato dal futuro ministro grillino come iettatore, responsabile involontario di tragedie immani come gli attentati dell’11 Settembre 2001 a New York e il terremoto de L’Aquila del 6 Aprile del 2009. Ma nel 2013 c’è n’era anche per il vignettista di sinistra Vauro: «Anche Vauro ha rotto le palle». L’unico a salvarsi, già sei anni fa, era Beppe Grillo, leader di quel M5s appena entrato in Parlamento per aprirlo a mo’ di scatoletta di tonno: «Almeno l’ovazione a Grillo in studio mi fa sperare bene», chiosava Fioramonti seguendo la trasmissione di Santoro.Archiviata la stagione social della rabbia e degli insulti degni di un hater qualsiasi, la vera e propria folgorazione con i Cinque stelle arriva nel 2017. Come ricostruito dall’’uffington Post in un ritratto del gennaio 2018, la scintilla con il gruppo dirigente stellato scatta nell’aprile di due anni fa, quando l’allora deputato Giorgio Sorial organizza a Montecitorio un convegno su sviluppo economico e benessere sociale. Fioramonti interviene per un quarto d’ora e strappa applausi entusiastici da parte dello stato maggiore del Movimento. Quindi collabora alla stesura del programma economico del M5s, un suo contributo viene ospitato sul Blog di Beppe Grillo.Prima del voto del 2018 il capo politico Luigi Di Maio lo sceglie per la squadra dei 17 «fantaministri» di un ipotetico monocolore grillino. Per Fioramonti la delega è lo Sviluppo economico, poi finita nelle mani di Di Maio dopo le convulse trattative che portarono alla nascita del governo gialloverde. Fioramonti diventa viceministro all’Istruzione, e fa discutere per la nomina come consulente dell’ex Iena Dino Giarrusso, poi candidato dal Movimento alle ultime europee.Dopo il rapido cursus honorum, resta il web. Che non dimentica. E rimangono i commenti che Fioramonti condivideva con i suoi amici nel lontano, ma non troppo, 2013.Ieri mattina i post incriminati erano ancora tutti online, non cancellati, forse per distrazione o ingenuità, dall’ex brillante docente «cervello in fuga» diventato nel frattempo importante ministro del governo giallorosso. Un bestiario in cui quelli che Fioramonti, sebbene ancora non militante sentiva, come propri avversari politici venivano messi alla berlina, sbeffeggiati, insultati e dati in pasto agli amici su Facebook.Proprio come in quel lontano, ma non troppo, 2013 faceva Beppe Grillo dai palchi di tutta Italia, in quello Tsunami Tour che sei anni fa portò i Cinque stelle ad entrare in Parlamento. L’acme della protesta del grillismo, come dimostrano i commenti del futuro ministro Fioramonti. Un punto di non ritorno per la storia italiana.