Corriere della Sera, 3 ottobre 2019
Tutti gli ostacoli di Mariam
Le donne al supermercato, coperte dalla testa ai piedi. Le donne per strada, sempre qualche passo dietro al marito. Le donne allo stadio, in fila al bagno dei maschi prestato alle femmine per il tempo di questa pacifica invasione occidentale nel nome e per conto dell’atletica. E poi arriva lei, Mariam Mahmoud Farid, 21 anni, seconda atleta della squadra del Qatar: 17 uomini capitanati dalla stella dell’alto Mutaz Barshim, più la quattrocentista Kenza Sosse e Mariam. Sulla pista di casa ha corso i 400 hs, la sua specialità, con lo hijab in testa, le braccia e le gambe coperte e una fierezza che speriamo abbia contagiato il Medio Oriente. «Certo avremmo voluto più pubblico, certo avremmo auspicato un maggior coinvolgimento di questa area geografica, ma è una zona di mondo sensibile e non è stato possibile – dice il presidente della Iaaf Sebastian Coe —. Però vedrete che questo Mondiale che state criticando così tanto avrà un valore per la società. E insieme al calcio, nel 2022, contribuirà a cambiarla. In meglio».
Non è il tempo, a contare. Mentre la primatista mondiale Dalilah Muhammad, musulmana americana (senza velo) figlia di un imam di New York, volava verso il podio degli ostacoli sul giro della morte, Farid chiudeva ultima la batteria, 16 secondi e quattro centesimi lontana dall’élite e un milione di chilometri dall’abbigliamento e dalle abitudini delle adolescenti a Ovest del Golfo Persico. A contare, è il modo. «Essere qui è una grande responsabilità. In pista rappresento non solo me stessa, ma anche il mio Paese con le sue tradizioni. E le donne del Qatar, le hijabi women».
Arrivare in coda non ha spaventato Mariam («Gareggiando ho pensato alle connazionali che seguiranno i miei passi»), cui il primo allenatore aveva sconsigliato l’atletica: ha i piedi piatti. Studentessa al liceo francese di Doha, allieva dell’Aspire Centre, l’accademia multifunzionale fondata nel 2004 dove si è diplomato Barshim e ha fatto esperienza Felix Sanchez Bas, il c.t. spagnolo che guiderà il Qatar nel Mondiale di casa, la ragazza che salta gli ostacoli con il velo ha stampato un personale lentissimo, orgoglioso e, a suo modo, storico. «Corro per rompere le barriere e cambiare la prospettiva di chi non è abituato a vederci gareggiare con lo hijab. Spero di essere d’esempio: le bambine devono sapere che per fare atletica non è necessario scoprirsi. Si può restare fedeli a se stessi. Vado nelle scuole a raccontarlo ma dimostrarlo in pista al Mondiale era il modo migliore per far sentire la mia voce».
Il caldo, l’indifferenza di un pubblico che va prima appassionato e poi fidelizzato. Lo sport più globale non ha intenzione di fermarsi al Qatar di Mariam. «Questo non è un esperimento – conferma Coe appena rieletto – la nostra sfida non finisce qui. Porteremo la corsa, i salti e i lanci in luoghi sempre più remoti, dove abbia senso andare. Londra 2017 ebbe un impatto di 80 milioni sull’economia, l’asta alla stazione di Zurigo in Diamond League è sempre un successo, le presentazioni-show delle gare funzionano». Tecnologia, giovani, futuro. E poi c’è Mariam che corre velata. Ogni ostacolo, un pregiudizio.