Libero, 2 ottobre 2019
L’Olanda vuole dimezzare i maiali per inquinare meno
Chi pagherà il conto della nuova folle crociata mondiale contro il riscaldamento globale? Perché statene certi, se il terrore è stato seminato con tale religioso fanatismo è perché i governi o chi per loro dovranno primo o poi presentare il conto della conversione di interi settori dell’economia, di tagli feroci da una parte e di investimenti sontuosi dall’altra. E state altrettanto certi che alla fine a pagare saranno le categorie più deboli, quelle, solo per fare un esempio, che faranno più fatica a cambiare per l’ennesima volta l’automobile a benzina in una elettrica. Ma il futuro è già presente, perché c’è Greta, c’è il ghiacciaio del Bianco che scivola giù, quelli dell’Artico che si sciolgono, il tempo stringe e i politici devono pur fare qualcosa, è una questione anche di consenso. In Olanda per non perdere tempo hanno iniziato a prendersela non tanto con la CO2, ma con l’azoto che in alcune sue forme è considerato un gas serra ed è un problema annoso da quelle parti in quanto utilizzato a mani basse come fertilizzante. Stabilito che nell’aria c’è troppo protossido di azoto, famoso tra l’altro per essere il gas esilarante, e che l’Olanda avrebbe dunque in questo senso violato le norme Ue sulla protezione della natura, a maggio scorso il Consiglio di Stato dell’Aia ha puntato il dito contro la disinvolta concessione di permessi per l’edilizia e l’agricoltura e ha bloccato migliaia di progetti già approvati. La scorsa settimana poi un comitato consultivo ha dichiarato che sono assolutamente necessarie misure drastiche, sia in agricoltura che sulle strade olandesi, e tanto per rincarare la dose il deputato liberale Tjeerd de Groot ha chiesto di dimezzare la produzione di bestiame, cioè in pratica di abbattere dall’oggi con il domani sei milioni di suini e 50 milioni di polli. Gli allevatori e gli agricoltori, già sul piede di guerra in quanto indicati tra i principali untori di CO2 del Paese, hanno deciso di passare dalle parole ai fatti e di scendere in strada coi trattori bloccando, come hanno fatto ieri, le principali arterie del Paese. Complice la pioggia a dirotto pare che l’Olanda abbia conosciuto il suo peggior giorno in termini di viabilità. Vi ricorda qualcosa? Più o meno è quello che è successo lo scorso anno in Francia con i gilet gialli che hanno iniziato la loro ondata di proteste proprio contro l’aumento del carburante giustificato da Macron con motivazioni ambientaliste e addirittura geopolitiche («non vogliamo che il portafoglio dei francesi finisca nelle mani dei Paesi produttori di petrolio» disse il portavoce dell’Eliseo). In entrambi i casi la rivolta arriva dalla gente comune, da quelli che vivono lontano dalle capitali e che non godono dei privilegi in termini di servizi delle grandi città. Arriva dalle cittadine di provincia, già penalizzate dalla crisi e da una successiva crescita economica non all’altezza del loro passato. Dalle campagne, da gente che vive ancora di lavori tradizionali, come appunto l’agricoltore e l’allevatore, e che adesso viene perfino accusata di essere tra i principali responsabili del futuro incerto dell’umanità intera. «Ci sentiamo come se fossimo messi all’angolo da personaggi che vivono in città e che vengono qui e ci dicono come dovrebbero essere le cose in campagna, come dobbiamo vivere», ha detto uno degli organizzatori della protesta, Mark van den Oever. Ma la rabbia degli allevatori in questo caso non è rivolta solo contro i politici che vogliono dimezzare gli allevamenti, ma anche contro quella società benestante e all’avanguardia, che dipinge li dipinge come “dierenmishandelaars”, letteralmente “trafficanti di animali”, mostri, che oltre ad allevare bestie che “inquinano”, maltrattano le stesse, le uccidono e le macellano. Non a caso ieri in piazza all’Aia sono scesi in strada per una contromanifestazione anche gli animalisti esaltati di Direct Action Everywhere, che sostengono come il liberale Tjeerd de Groot che gli allevamenti del Paese vanno ridimensionati, se non eliminati, a prescindere.