Corriere della Sera, 2 ottobre 2019
Le gaffe di Fioramonti, il nuovo Toninelli
Il fantomatico Stato Imperialista delle Merendine è pronto per fargli recapitare quel biglietto beffardo che si trovava all’interno delle zuccheratissime gomme da masticare degli anni Ottanta: «Ritenta, sarai più fortunato». Infatti, la tassa sugli snack amati dai ragazzini e odiati dai nutrizionisti – da lui caldeggiata già l’anno scorso e riproposta anche quest’anno – non entrerà nel bouquet della legge di Bilancio. E non ci sarà nemmeno la tassa sui voli aerei escogitata per cercare fondi da destinare alla ricerca.
E visto che non c’è due senza tre, Lorenzo Fioramonti non avrà la ventura di vedere la concreta applicazione della suggestione di rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche, proposta respinta persino dal più orgogliosamente veterocomunista della nuova maggioranza giallorossa, quell’Andrea Orlando pronto a sostenere «da laico a laico che non sono i crocifissi a mettere in discussione la laicità di scuola e Stato».
Adesso sarebbe fin troppo semplicistico sostenere, come più d’uno anche a Palazzo Chigi già azzarda, che il neoministro dell’Istruzione si stia candidando a indossare quei galloni di «battitore libero», diciamo così, che nel passato governo erano appuntati sulle spalline di Danilo Toninelli. Certo, è vero, anche l’ex ministro dei Trasporti si era specializzato nella disciplina di fughe in avanti (dal ritiro delle concessioni ad Autostrade allo stop alla Tav) che venivano prontamente arrestate ora dal premier, ora dall’altro partner di maggioranza (che era la Lega). Ma stavolta è diverso. Mentre Toninelli inseguiva la stella polare del grillismo della prima ora, Fioramonti è come se seguisse una scia tutta sua, che lo sta portando a scavalcare a sinistra persino i componenti più di sinistra della maggioranza.
Il confronto
Mentre l’ex titolare dei Trasporti si ispirava
al grillismo degli esordi, lui segue scie tutte sue
Qualche malalingua del governo giallorosso giura di averlo sentito definire da Luigi di Maio in persona «il nostro Bertinotti» con esplicito riferimento al leader di Rifondazione che fu delizia ma soprattutto croce dei governi di centrosinistra di Prodi.
Professore di Economia politica in Sudafrica, scovato dai 5 Stelle per riempire la casella di ministro dello Sviluppo economico di quel fantomatico governo tutto giallo annunciato prima delle elezioni del 2018 (che mai avrebbe visto la luce), Fioramonti è uno di quelli che unisce simpatizzanti e detrattori dietro l’unica formula che solitamente, gliene va dato atto, si applica ai puri, ai sinceri. «Dice quello che pensa e pensa quello che dice». Finora è stato un problema non da poco, visto che le sue proposte sono state stoppate in primis da quelli a lui più vicino. Lo ius culturae che «non è una priorità» (Di Maio), la tassa sulle merendine che «non ci sarà» (Conte) e che comunque è «totalmente sbagliata» (sempre Di Maio).
Certo, al ministro dell’Istruzione rimarrà a imperitura memoria la casacca di recordman delle dimissioni differite annunciate. Un record difficilmente battibile visto che le sue, di dimissioni differite, Fioramonti le ha annunciate un giorno prima di giurare da ministro. Tre miliardi, due all’istruzione e uno alla ricerca, o mi dimetterò». Quando, nel caso? A Natale. Proprio così, durante il trionfo collettivo dei prodotti zuccherini. Come quella merendina consumata l’altro giorno dal ministro in diretta a Un giorno da pecora, epifenomeno di quella lunga scia di eventi iniziata col risotto cucinato da D’Alema davanti alle telecamere di Bruno Vespa. E che avrà vita lunga, anche più delle merendine.