La Stampa, 2 ottobre 2019
I test sugli inganni cognitivi
Le società moderne dipendono per funzionare da conoscenze controllate, accessibili come mai prima nella storia, ma restano fragili agli effetti causati dalle false credenze. Mettere in giro false informazioni ai tempi delle epidemie o delle prime vaccinazioni causava disordini pubblici, con linciaggi e numeri ingenti di morti. Oggi provoca un numero maggiore o una ripresa (controllabile nel mondo occidentale) di casi di infezioni (come il morbillo), la distruzione degli ulivi del Salento, la morte di qualche persona che ricorre o crede ai ciarlatani per trattare malattie gravi o meno gravi, danni economici e così via.
La situazione è molto migliorata, ma è un dovere per chi si guadagna lo stipendio studiando e insegnando non calare la guardia davanti a pseudoscienziati che sottraggono risorse e causano sofferenze, avvelenando i pozzi della conoscenza. Ci sono tre sfide che le società fondate sulla conoscenza affrontano: guidare lo sviluppo dell’epistemologia individuale nelle scuole per portare i giovani a maturare una meta-cognizione criticamente pluralista; usare strategie di comunicazione che intercettino il modo di ragionare degli adulti, meno plastico; capire come le Intelligenze Artificiali dovranno essere governate, stante che si possono usare sia per amplificare la disinformazione sia per disinnescare i «bot» che alimentano le polarizzazioni, disinformando in rete.
La comunicazione di informazioni vere deve prevedere il modo in cui funzionano i sistemi cognitivi, che si strutturano nel cervello umano, ovvero se hanno le conformazioni concettuali adeguate e non sono alla mercé delle emozioni. Nel caso dei giovani sappiamo molto su come apprendono ed evolvono le loro idee su quali sono le fonti attendibili di conoscenze. Un problema importante è il rapporto che instaurano con le prove. L’esperimento condotto sotto il titolo di «Informed Health Choices Project» da epidemiologi ed esperti di apprendimento norvegesi e britannici ha messo a punto una trentina di concetti chiave del pensiero critico, risorse didattiche e batterie di domande a risposta multipla per stabilire la padronanza dei concetti. Nel 2016 è stato condotto un «trial» randomizzato in Uganda su 10mila bambini di 120 scuole primarie, scoprendo che le risorse usate miglioravano la capacità di applicare 12 concetti chiave nel 67% dei bambini di 10-12 anni: imparavano che l’esperienza personale è una base insufficiente per affermare alcuni effetti e che i piccoli numeri possono ingannare.
Per quanto riguarda gli adulti, si deve sapere che l’assimilazione delle informazioni dipende dalle credenze precedenti e che l’incapacità di modificare una credenza a seguito di nuove informazioni è il risultato di diversi fattori: informazioni sbagliate circolanti, correlazioni illusorie, uso selettivo delle informazioni, difficoltà a capire le informazioni, livello di istruzione, appartenenza politica e grado di riflessività cognitiva. Pur provvisti di nuove ed esatte informazioni, raramente si cambia idea su alcuni argomenti polarizzanti o motivanti, come Ogm o riscaldamento globale. Le persone si formano credenze e spesso non le abbandonano per motivi che sono al di fuori del loro controllo o prevedibili e insultare queste persone, aspettandosi che si ravvedano, è poco intelligente.
Alcuni studi mostrano che chi aderisce a una credenza coincidente con quella della comunità scientifica lo fa spesso perché riceve spiegazioni che non capisce, mentre coloro che non aderiscono al punto di vista della comunità scientifica lo fanno a causa di processi mentali analitici. In altre parole l’abilità nel ragionamento analitico in assenza di conoscenze e competenze specifiche può produrre un rifiuto dell’informazione corretta.
Un esperimento interessante è stato lanciato dalla «Gerontological Society of America», che ha prodotto una guida per anziani, dove si spiega come i «bias» cognitivi e le euristiche - approcci non lineari ai problemi - possono portarli a decisioni sbagliate in diversi ambiti sanitari. Si sta capendo, al di là delle improvvisazioni volontaristiche, che cosa e come comunicare per fare in modo che le informazioni vere prevalgano sulle false credenze. Gli effetti non saranno tuttavia eclatanti, perché i social media diffondono disinformazione come uno tsunami e gli strumenti cognitivi necessari per immunizzarsi sono comunque difficili da acquisire.