La Stampa, 2 ottobre 2019
Herman Sörgel, l’uomo che voleva prosciugare il Mediterraneo
Se mai, in un mondo ucronico, lo avesse incrociato Greta Thunberg, certo non si sarebbe limitata a fulminarlo con lo sguardo come è avvenuto con Trump: perché la storia dimenticata dell’architetto bavarese Herman Sörgel (1885-1952) è di quelle che possono oggi suscitare qualche brivido in chi sia quantomeno preoccupato per il cambiamento climatico. Lui, mite geniaccio razionalista (era cresciuto culturalmente e tecnicamente nell’ambiente del Bauhaus) riuscì a concepire un progetto da far impallidire Jules Verne, e a raccogliere intorno ad esso, per anni, il vivo interesse di uomini di scienza, istituzioni internazionali e grandi imprenditori: prosciugare il Mediterraneo, trasformandolo – almeno nelle intenzioni – in una specie di enorme Eden. Dimostrò che era possibile, se pure con capitali smisurati. Dunque l’abbiamo scampata bella.
Il «progetto Atlantropa» (Atlante più Europa, e già il nome suona male) visse, per così dire, qualche decina d’anni, dal primo al secondo dopoguerra, e trasmigrò infine nella fantascienza – con una significativa incursione in Star Trek. Non si può affermare che fu a un passo dal divenire realtà, ma certo andò molto oltre la mera utopia. Volendo azzardare un parallelo (inquietante), accade allora quel che si sta verificando oggi per le teorie «transumaniste», che a vario titolo studiano la trasformazione dell’essere umano in computer o almeno la rigenerazione tecnologica di corpi e menti: un ambito dove convivono seri studiosi e visionari bizzarri, ma anche grandi capitalisti e informatici che hanno da tempo dimostrato di conoscere molto bene il loro mestiere – oltre che i loro affari.
L’avventura di Sörgel, l’epopea della sua Atlantropa, è ora ricostruita, con grande attenzione ai dati storici da Osvaldo Guerreri in La diga sull’Oceano, la folla avventura di Atlatropa, il continente mai nato (Neri Pozza), che dà spessore narrativo e umano a un personaggio indubbiamente interessante, vissuto nel disastro economico e sociale degli Anni Venti e nella Monaco di Schwabing, il quartiere degli artisti, fra amici idealisti e preparatissimi come Hans Pölzig, Fritz Höger, Emil Fahrenkamp, Peter Behrens, Erich Mendelsohn, che nel ’24 eresse a Berlino la «torre di Einstein», l’osservatorio-laboratorio commissionato dall’incontentabile scienziato. O il pittore Heinrich Kley, che avrebbe disegnato il mondo possibile di Atlantropa in grandi pannelli assai ammirati.
Tutti sembravano entusiasti dell’idea, soprattutto Mendelsson, che ci credette fino all’ultimo, o almeno fino al ’33 quando abbandonò la Germania per sottrarsi alle persecuzioni razziali.
Sörgel divulgò per la prima volta i punti fondamentali del suo progetto nel 1929, in un breve volume che si intitolava Abbassare il Mediterraneo, irrigare il Sahara; dove spiegava il contesto generale. Si trattava di costruire un’enorme diga sullo stretto di Gibilterra, arrestando così lo scambio di acque fra l’Atlantico e il Mediterraneo (ed ottenendo energia elettrica), ed un’altra sullo stretto dei Dardanelli, per chiudere il passaggio col Mar Nero. Una sorta di diluvio universale alla rovescia. Completava il disegno un altro sbarramento dalla Sicilia alla Tunisia, su cui costruire un’autostrada. Nel giro di pochi anni il Mediterraneo avrebbe cominciato a prosciugarsi, lasciando terre da coltivare e trasformando le attuali città di mare in centri collinari ben lontani dalle coste. E pazienza per Venezia o Genova, o Napoli o Marsiglia, visto che deviando il fiume Congo e creando nel Ciad un enorme mare artificiale, si sarebbe potuto irrigare il Sahara.
L’architetto divenne all’istante una celebrità. A dire il vero non mancava una buona intuizione geopolitica: e cioè che l’Europa rischiava, se non si fosse rafforzata, di essere nel futuro un vaso di coccio tra America e Oriente – come sta accadendo. Per il resto dopo il ’33 Sörgel non percepì in tempo che alla Germania hitleriana non era affatto interessata – il segnale di pericolo, sottovalutato, fu un documentario premiato nel ’36 alla Biennale di Venezia, fortemente critico. Ben altre e più, diciamo, realizzabili erano le priorità di Hitler, che pure tollerava e persino a tratti sosteneva non pochi scienziati pazzi, ma (dal suo punto di vista) sostanzialmente innocui.
Sörgel poteva non essere tale, considerata la prospettiva pan-europea e internazionalista. Così, quando venne invitato alla New York World’s Fair del ’39, la Gestapo decise di bloccarlo. Non solo gli fu impedito di varcare l’Oceano ma gli si impose di non parlare mai più di Atlantropa. Il sogno era finto, nonostante una vaga ripresa d’interesse da parte degli americani dopo il ’45 e il coinvolgimento di Léopold Senghor (carismatico presidente del Senegal) nella fondazione di Sörgel. Era finito e, occorre insistere, meno male. Atlantropa avrebbe trasformato il Mediterraneo in un deserto di sale e devastato il clima su tutto il pianeta. Questo l’architetto non lo aveva capito, ma va detto che, ai suoi tempi, l’ecologia non era all’ordine del giorno.
Il suo folle disegno è ora archiviato fra i rischi mortali cui l’umanità è riuscita a sfuggire. E non è certo il solo. Non molti anni dopo l’architetto bavarese, del resto, un ingegnere elettrico, Hugh Auchincloss Brown , avanzò la teoria secondo cui per evitare un ulteriore spostamento (disastroso) dell’asse terrestre, bisognava sciogliere il ghiaccio dei poli con adeguate esplosioni atomiche. Ora che i poli lentamente si sciolgono, non è difficile immaginare quale sarebbero state, allora, le conseguenze.