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 2019  ottobre 02 Mercoledì calendario

La Scala assolve Grigolo

«Felice? No, felicissimo. Sono a casa. Il pubblico mi ha abbracciato con calore. E questo abbraccio cancella molte polemiche e molte cattiverie». Sul palcoscenico, a recita appena terminata, ancora carico di adrenalina e di sudore, Vittorio Grigolo tira un sospirone di sollievo. È finito in gloria, il ritorno del figlio prodigo alla Scala. Altro che vitello grasso: se non champagne, per lui è stato stappato un «Elisir d’amore» trionfale, con molti applausi e il bis della «Furtiva lagrima». Dopo l’ennesimo scandalo targato #metoo, le accuse di aver palpeggiato una corista del Covent Garden durante un tournée in Giappone, e la conseguente messa al bando dal teatro londinese e per soprammercato anche dal Met di New York, il tenore è tornato in scena ieri a Milano. La Scala infatti aveva ribadito la sua linea di presunzione d’innocenza confermandogli le quattro recite dell’«Elisir» di Donizetti, come del resto il gala di dicembre per l’altro indiziato speciale di molestie sessuali del mondo dell’opera, il vecchio e glorioso Plácido Domingo.
La serata non si presentava facile. Proprio ieri i sindacati della Scala erano usciti dal letargo dell’evo Pereira, proclamando scioperi a ripetizione a partire dal 18 ottobre, giorno della prima di un atteso «Giulio Cesare» di Händel. In compenso, a fare il tifo per il Grigoletto sono arrivati Mara Venier e Tony Renis, in sala forse non tanto per Donizetti quanto per il giudice di «Amici», attività accessoria che al Vittorio ha dato una grande popolarità televisiva che molti puri e duri dell’opera, per inciso, non hanno affatto gradito.
E certo, ieri sera ogni battuta del meraviglioso libretto di Romani finiva per assumere doppi sensi malandrini. Nemorino entra subito dopo il primo coretto di villici, già evocatore: «Ma d’amor la vampa ardente / Ombra o rio non può temprar», che sembra fatto apposta per uno che nelle interviste racconta senza tanti tabù i dettagli della sua vita sessuale, pare intensissima. All’inizio, in ogni caso, Grigolo un po’ teso obiettivamente lo era, come ha dimostrato una cavatina in cui sembrava facesse fatica a buttar fuori la voce. Poi si è ripreso, ha fatto un bel duetto con Dulcamara e si è preso il primo applauso. E qui l’inconfondibile voce di uno dei loggionisti di più lungo corso si è fatta sentire da un palchetto: «Che scemi, i londinesi». Lui ha subito iniziato a grigoleggiare sempre di più. Si tratta del suo tipico modo di recitare sopra le righe, tutta una sottolineatura e una leziosaggine, una smorfia e un sospiro: il genere di overacting che, ironia della sorte, piace tanto al Met per lui sì bello e perduto. Però «Adina, credimi» era molto bello e nel secondo atto la romanza delle romanze, insomma la «furtiva lagrima», è stata applaudita e bissata, nonostante i buuu! di prammatica alcuni guastatori. Nulla di relativo alle accuse, però. Si è subito riconosciuto il tipico muggito di un altro dei soliti noti del loggione. 
Poi, finita la recita a tarallucci ed elisir, dopo aver gridato dalla ribalta «Vi amo!» al pubblico, Grigolo si è tolto qualche macigno dagli scarpini, parlando per la prima volta dopo l’affaire. Ribadisce che si è trattato di un equivoco, che lui alla corista non ha toccato parti sensibili ma solo il pancione di gomma previsto dai costumi del «Faust», «e se questo in Inghilterra è considerata una molestia sessuale, beh, dovrebbero stabilirlo prima. In Italia in ogni caso non lo è. Contro di me non ci sono prove e nemmeno un’inchiesta. Questa serata cancella tutto. Grazie a tutti, al pubblico, alla Scala, a coro e orchestra. Torno a testa alta, libero».