La Stampa, 2 ottobre 2019
La povertà divora l’Argentina di Macri
Più di un argentino su tre vive sotto la soglia della povertà, la metà dei bambini e adolescenti non riesce a mettere insieme due pasti al giorno. L’ultima rilevazione dell’Indec (istituto di statistiche ufficiali) mostra i contorni di una crisi sociale che ricorda a molti quella scoppiata col default del 2001. Numeri che inchiodano il presidente Mauricio Macri, impegnato a rincorrere una differenza abissale rispetto al peronista Alberto Fernandez in vista delle elezioni del 27 ottobre. L’aumento dei poveri nell’ultimo anno è stato vertiginoso: 8 punti, che equivalgono a poco più di tre milioni di persone. In tutto sono quasi 14 milioni gli argentini che non riescono, ad esempio, a riempire la cosiddetta «cesta basica» di alimenti. Le cause del tracollo sono tutte nella débâcle economica degli ultimi dodici mesi, con l’inflazione salita alle stelle (dal 40 al 60%) e il potere d’acquisto dei salari che è crollato.
Per avere la stessa capacità di acquisto del 2015 un lavoratore argentino dovrebbe riceve oggi 250.000 pesos al mese, sette volte tanto lo stipendio medio di un impiegato. La situazione può solo peggiorare, considerando che i dati sono fermi al 30 giugno, prima dell’ultima crisi di agosto, dopo la batosta raccolta da Macri alle elezioni primarie (17 punti in meno rispetto a Fernandez). Secondo l’osservatorio sulla povertà dell’Università cattolica argentina, a fine anno i poveri saranno il 40% della popolazione; questa la pesante eredità che assumerà il nuovo governo. Rimane poi irrisolta la vertenza con il Fondo Monetario Internazionali, che ha concesso nel 2018 un prestito di 57 miliardi di dollari al governo Macri in cambio di una serie di misure di riequilibro dei conti pubblici e tagli alla spesa sociale. Per molti la «medicina» ha solo peggiorato le condizioni del paziente. Il Fmi ha sospeso il pagamento della rata di 5,7 miliardi di settembre. «Ne riparliamo dopo le lezioni – hanno detto a Washington – quando capiremo che direzione prenderà il nuovo governo». Dall’entourage di Fernandez, per ora, arrivano segnali contraddittori; il timore dei mercati che ancora una volta Buenos Aires faccia saltare il banco, dichiarando di non poter onorare il debito contratto. Alla casa Rosada hanno dovuto pure inventarsi un nuovo termine, chiedendo un «reperfilamiento» del debito, una sorte di rinvio delle rate da pagare che però non è stato ancora definito perché l’unica verità è che nessuno oggi sa se e come l’Argentina potrà restituire quello che gli è stato dato.
Agli argentini, in realtà, tutto questo poco importa. L’accordo con il Fondo è stato osteggiato da sindacati e opposizione, che oggi assegna tutta la colpa della crisi a Macri. L’impoverimento progressivo della popolazione, in pressoché tutte le classi sociali, è evidente. Tutto aumenta a un ritmo insostenibile, dagli affitti ai servizi pubblici, dal cibo ad altri beni di consumo. La classe media urbana non riesce, ad esempio, a pagare le rette delle scuole, duplicate in meno di due anni, i conti non tornano ed ogni imprevisto si trasforma in un calvario di debiti.
A Buenos Aires e nelle principali città i prezzi dei generi alimentari nei supermercati sono simili a quelli italiani ma di Roma o Madrid, specie con l’ultima pesante svalutazione agostana, valgono meno della metà. Le villas miserias, dove pure il governo ha investito in infrastrutture, sono piene come non mai e a poco serve avere una scuola o un ospedale nuovo se non si riesce a mettere insieme un pasto al giorno. Macri ha iniziato questa settimana un tour in trenta città considerate strategiche per la «remuntada». Lo slogan scelto, d’estrazione calcistica, è «Sì, se puede», ma ormai sono in pochi a credere possibile il miracolo. Sebbene molti non abbiano chiaro che futuro ci sarà con il ritorno dei peronisti, prevale ormai il voto castigo per un governo che ha fallito nella sua promessa di far uscire il Paese dalla sua eterna instabilità economica.