E nel 2015, con il report globale su “ Invecchiamento e salute”, l’Organizzazione mondiale per la sanità ha marchiato Giappone e Italia come primo e secondo Paese in cui si vive più a lungo. Per scoprire il segreto della longevità, diversi studiosi hanno sbirciato nel piatto di queste popolazioni centenarie. Il risultato? Che in fondo un pastore sardo e un abitante di Okinawa non avevano uno stile di vita tanto diverso: erano magri, mangiavano poco e si muovevano tanto.
« Oggi mangiamo troppo e spesso più di quello che consumiamo. Un tempo invece c’era più povertà — spiega Andrea Ghiselli, presidente della Società italiana di scienze dell’alimentazione — che costringeva a consumare di meno, più vegetali, qualche latticino, ma altri alimenti erano un lusso. In tutti i regimi alimentari cosiddetti della longevità circa l’ 80- 90% delle calorie deriva da fonti vegetali e questo influenza anche la quantità di ciò che si mangia perché cereali, legumi, frutta e verdura sono ricchi di fibre, che riempiono e aumentano la sazietà».
Vegetali e cibi integrali
Molte delle abitudini alimentari dei centenari sardi e di quelli di Okinawa, dopotutto, si rifanno alla dieta mediterranea e giapponese: due regimi alimentari riconosciuti dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità e da studi scientifici come preventivi di malattie croniche proprio perché ricchi di fonti vegetali. Nel mediterraneo si consumano da sempre frutta, verdura, pane, pasta, lenticchie, ceci, fagioli e olio extravergine di oliva, così come la dieta giapponese si basa su riso, verdure, tra cui anche alghe e radici, soia e spezie.
Il pesce
C’è poi il fattore pesce, perché non è un caso che tutte le “ blue zones” siano isole oppure vicine al mare: negli studi condotti dal giornalista Dan Buettner sugli stili alimentari di queste popolazioni è risultato che le persone che seguivano una dieta a base vegetale con una piccola porzione di pesce ogni giorno erano quelle che vivevano più a lungo. Condivisa sia dalla tradizione mediterranea che da quella giapponese, poi, anche l’abitudine a bere bevande ricche di polifenoli: si dice che a Okinawa si bevesse tè verde ogni giorno e che a un bicchiere di vino rosso non abbia rinunciato nessuno dei nostri centenari. Il trucco, dicono gli esperti, è la moderazione, senza fissarsi su singoli alimenti da considerare elisir di lunga vita oppure nemici. Un concetto che serve anche a spiegare il consumo di carne.
Anche un poco di carne
Nel suo libro “ Il segreto della longevità. Il metodo giapponese per vivere 100 anni”, la giornalista Junko Takahashi spiega che la dieta giapponese all’inizio mancava di proteine animali a causa dell’influenza buddista e che i giapponesi avrebbero imparato a mangiare la carne dagli occidentali negli anni Sessanta, quando Tokyo si riempì di turisti per le Olimpiadi. Da lì in poi, scrive la giornalista, l’aspettativa di vita giapponese aumentò sempre di più.
«Rispetto al passato oggi abbiamo una dieta più ricca di proteine, quindi non abbiamo la necessità di assumere grandi quantità di carne. Senza toglierla completamente dalla dieta, perché possiede nutrienti importanti, dobbiamo ridurne il consumo, soprattutto se rossa e conservata, a vantaggio di altre fonti: frutta secca, semi oleosi, legumi tra le fonti vegetali, prodotti della pesca e lattiero- caseari tra quelle animali», suggerisce Ghiselli.
Yogurt e pecorino
Anche i prodotti derivati da capre e pecore, infatti, sono comuni nelle diete dei longevi: basti pensare allo yogurt in Grecia e al pecorino che i pastori sardi mangiavano quasi tutti i giorni. Però poco e poi faticavano nei campi. Il concetto di pasto frugale come segreto della longevità viene confermato anche da Mauro Serafini, professore di Scienze dell’Alimentazione all’Università di Teramo, dove sta conducendo uno studio sui centenari abruzzesi. Questa popolazione era solita fare un pasto leggero al tramonto, una colazione piccola ( ma energetica) al mattino presto e poi un pranzo abbondante dopo il lavoro, il cosiddetto “sdijuno”.
Mai troppe calorie
« Dopo ogni pasto nell’organismo si verifica uno stress post prandiale, che aumenta se facciamo pasti abbondanti e ricchi di alimenti animali — spiega Serafini — se limitiamo l’apporto calorico serale avremo un duplice vantaggio: ridurremo lo stress post prandiale facilitando il lavoro del metabolismo, che la sera rallenta, e affronteremo un periodo di semi- digiuno che, come evidenziano molte ricerche scientifiche, fa bene all’organismo migliorando le funzionalità cellulare ».