la Repubblica, 2 ottobre 2019
I 25 anni del Ruggito del coniglio
Volpi e macellai permettendo, i conigli vivono in media 1-2 anni. Sono dei fenomeni anche in questo quelli del Ruggito del coniglio, che su Radio 2 hanno iniziato a festeggiare il 25° compleanno, come sempre tutte le mattine feriali dalle 7.45 alle 10.30, come sempre con la regia di Paolo “the genius” Restuccia. È un quarto di secolo – «Incredibile, ci sentiamo vecchissimi» – che Antonello Dose e Marco Presta propongono l’attualità quotidiana riveduta e corretta (o corrotta?) dal sarcasmo usato come tipica arma di difesa. Ad aiutare i due, ora 57 anni, teste lucide in tutti i sensi, che iniziarono come brillanti trentenni autori della scuola di Enrico Vaime, addirittura coi capelli, ci sono Max Paiella (musiche e imitazioni, l’ultima un Calenda a volte dentro il Pd a volte fuori), Giancarlo Ratti (lettura creativa di titoli di giornali e tutto quel che ci si può aspettare da uno che sul biglietto da visita aveva fatto scrivere “cialtrone") e Paola Minaccioni (la confusionaria giornalista d’assalto Ylenia Pimpini Pimpozzi e una Sabrina Ferilli così perfetta che quando quella vera telefonò in diretta a complimentarsi non le si distingueva).
«Ma soprattutto ci sono gli ascoltatori», dice Presta, «sto lontano mille miglia dalla retorica se dico che la trasmissione la fanno loro. Noi possiamo sforzarci di inventare personaggi, situazioni, gag, ma poi il pubblico fa di meglio, seguendoci su qualunque tema con messaggi e telefonate. Ci ha chiamato gente da carri funebri – ma dal posto del guidatore, ci siamo informati – chirurghi in sala operatoria, donne cui si erano già rotte le acque. E abbiamo dato il meglio, o il peggio, anche noi, trasmettendo da pompe di benzina, stabilimenti balneari, addirittura da una crociera tra Genova e Barcellona, rischiammo che il collegamento crollasse miseramente».
Una gabbia di folli che ricorda quella che fu di Alto Gradimento ad alcuni. Tra i quali Renzo Arbore, che del programma non è solo ascoltatore, ma anche salvatore: i primi tempi non andava bene, Dose e Presta non ingranavano, il Ruggito stava per essere soffocato nella culla. Ma Arbore telefonò ai dirigenti Rai la propria stima verso il duo e li convinse a continuare. Da allora è stato un crescendo, seguito da oltre un milione di persone, spesso tendenti a due. La leggenda vuole che un ministro del Lavoro disse che la produttività nei ministeri cala assai negli orari della trasmissione. Ma il test migliore è vedere quelli che ridono da soli nell’abitacolo dell’auto. Tempo fa era anche uscito l’adesivo “scusate, sto solo ascoltando Il ruggito del coniglio “. «Ci sono stati due momenti chiave del cambiamento del programma», spiega Presta, «una quindicina di anni fa l’arrivo di Paiella, che ci ha aperto il mondo delle parodie musicali e dei suoi personaggi come il “poeta de tristeza” Vinicius Du Marones o il cantore greco Demetrios Parakulis, e di Ratti, uno capace di recitarti Re Lear in modo struggente e il momento dopo di far doppi sensi da film pecorecci. Un bambino ingestibile, e infatti non lo gestiamo. Più di recente, l’introduzione dei social. Prima il contatto col pubblico era solo il telefono, che è immediato, ma spesso occupato, al limite l’email. Ora c’è di tutto e subito». Aggiunge Dose, il tecnologico del dinamico duo: «Il vero orgoglio è che sui nostri canali non ci sia neanche un hater. Incredibile, solo gente che continua a discutere i temi lanciati in trasmissione, si scambia battute e immagini divertenti. La conferma che i social sono dei media, cioè mezzi, poi l’uso che se ne fa è tutt’altra cosa. Diremmo che siamo un’altra Italia rispetto a quella che strepita, insulta, offende, e però fa notizia. L’Italia del Ruggito, che pure è maggioranza nel Paese, sono convinto, ha voglia di divertirsi e divertire, di fare umorismo sulle piccole cose del quotidiano, non di travalicare, trascendere, eccedere. Tanto che – ci han detto – siamo ascoltatissimi nei centri di salute mentale, sembra che il clima umano che si respira da noi rassereni. O forse siamo semplicemente matti».
Quanto alle mattane di quest’anno i due si stanno già impegnando, «aiutati in questo dal Paese straordinario in cui viviamo – dice Presta – una pacchia, c’è sempre qualcosa di magnifico da sviluppare. Ma sempre cercando nuove cose, se diventiamo routine siamo fregati». E allora, Paola Minaccioni si è trasformata in un’ingegnera che utilizza l’energia termica dello sfregamento balneare dei corpi dei Vip e in Mara Maionchi che inventa frasi romantiche da cioccolatino condendole di parolacce. Ratti nel garante dell’Authority per la Corruzione e nell’intelligenza artificiale Alexo che fraintende tutto e se gli chiedi di Chopin ti parla dello chaffeur. Paiella è l’inventore della versione musicale di FaceApp Challenge, con cui invecchia la voce dei cantanti, dando a Mengoni l’ugola di un ottantenne, ma anche un fotografo del Pd disperato perché Zingaretti viene sempre malissimo negli scatti.
D’altronde non può mancare la politica. «In agosto – ammette Dose – ci siamo mangiati mani e altre parti del corpo a non poter raccontare la crisi di governo. Ma visti certi ministri avremo ancora grandi spunti. Siamo fiduciosi, da italiani professionisti ci aspettiamo di tutto». Umorismo ficcante, ma querele zero, «io ricordo solo una telefonataccia di insulti di Gasparri. E qualcuno potrà dirci che allora siamo addomesticati, di regime. Solo che ognuno ci dice che siamo servi di qualcun altro: per una stessa puntata ci arrivarono accuse di essere di destra, Pd e 5Stelle. Una medaglia: abbiamo le nostre idee e le diciamo, ma rimanendo neutrali. E comunque tranquilli, in politica non entriamo: i comici in politica fan solo danni. Ops, no, questa non l’ho detta». Chissà che intendeva.