Ma ha pensato al nome da dare a questo ponte, architetto?
«Il nome non lo sceglierò, io ma se vuole le posso dire come lo chiamo e come lo scrivo».
E come?
«Semplicemente il Ponte, ma con la "P" maiuscola. Perché questo non è un ponte qualsiasi, e non lo sarà mai. Questo è il Ponte. Se vuole, il Ponte di Genova».
Se dovesse riassumerlo in due parole?
«Parsimonioso, come lo sono tutti i genovesi. Ed essenziale».
Un ponte che lei ha già riassunto come una sorta di nave...
«Guardi che non è uno slogan, ma è la verità e insieme è la storia di Genova. Il ponte è una grande carena d’acciaio, bianca, che gioca con la luce e le permette di entrare e di riflettersi nella valle. Questo impalcato d’acciaio esce dagli stabilimenti che costruiscono navi. Il primo pezzo è stato appena varato, perché la parola varo si usa per le navi e per i ponti. Certo, le navi si varano in acqua, i ponti in aria. Ma questa è Genova, come dice il grande Giorgio Caproni "Genova di ferro e aria"».
Lei parlando del cantiere ha usato la parola solidarietà.
Perché?
«Il cantiere è un luogo di magia, dove la gente lavora senza risparmiarsi. Io ci sono stato ancora domenica scorsa, c’erano centinaia di persone al lavoro, ognuna intenta a occuparsi di ogni minimo dettaglio e parliamo di millimetri (Piano estrae dalla tasca e mostra il metro che porta sempre con sé e che usa per misurare ogni cosa n.d.r. ). Quanto entusiasmo e orgoglio ho colto. E quanta voglia di lavorare tutti insieme per qualcosa di importante, mille persone, un esercito. Ecco questa è solidarietà».
Un cantiere unico nella sua lunga esperienza professionale?
«Ci sono differenze, ma anche punti in comune. Questo cantiere, in effetti, nasce per costruire un ponte dopo che uno è crollato e questo rende ogni cosa più profonda. Ma ricordo il cantiere di Berlino, due anni dopo la caduta del Muro, con cinquemila operai al lavoro, 500 dei quali tedeschi e gli altri da tutto il mondo in uno spazio che era stato testimone di una terribile intolleranza e che diventava luogo di collaborazione.
E lo stesso potrei dire per lo Shard di Londra, operai di settanta nazionalità diverse, una Torre di Babele, o ancora quello del Beaubourg, tanti anni fa, quando eravamo dei ragazzacci».
Questo ponte, però, come ha ricordato lei, nasce da un grande lutto...
«E il lutto non si cancella, non si cancellerà più. Io ci penso ogni giorno da quel 14 agosto. Pensi che il 14 agosto è il giorno in cui è nato mio padre, era il 1892 (400 anni dalla scoperta dell’America che Piano celebrerà con il progetto del Porto Antico di Genova, nel 1992 n.d.r. ). Il lutto però si elabora, lo si fa proprio e lo custodisce dentro di noi. E poi c’è riscatto, la voglia di rialzare la testa per rendere omaggio a tutti quelli che hanno sofferto. Anche in questo a Genova siamo unici grazie alla nostra resilienza».
A fine aprile, ha garantito Marco Bucci, sindaco e commissario, il lavoro sarà finito.
E poi?
«Rispetteremo le scadenze, ma la ricostruzione del ponte non sarà la parola fine. Sarà invece un inizio, anche grazie al Parco del Ponte che nascerà sotto e attorno al viadotto.
Spazi verdi e fabbriche».