Avvenire, 2 ottobre 2019
L’Australia stermina i canguri
Il mondo insegue la sostenibilità; l’Australia dà la caccia ai suoi canguri. Paradossi di un pianeta che sta cercando di salvarsi la pelle, quella degli animali compresa. Le collezioni invernali sono arrivate nei negozi e in vetrina una sorpresa c’è: sono sempre di più i brand del lusso o le catene di abbigliamento che dichiarano con toni eclatanti l’adesione formale a politiche rispettose degli animali e del pianeta, scegliendo il fur-free (niente pellicce), eliminando l’angora e la piuma d’oca, e spostandosi su filati eco-friendly. C’è ancora molto da fare, ma il rispetto del Creato si sta diffondendo come un imperativo da accogliere. E l’industria della moda si sta allineando a tempo di record all’orientamento dei consumatori, oggi molto più consapevoli di quanto sia stupido e crudele indossare sofferenza o sfruttamento. L’ultimo in ordine di tempo è stato il gruppo Prada, che da questa collezione 2020 ha abbandonato definitivamente le pellicce per puntare sullo sviluppo di materiali alternativi. Il gruppo ha aderito allo “Standad Fur Free Retailer” promosso dalla “Fur Free Alliance”, la coalizione internazionale di oltre 40 importanti organizzazioni di protezione degli animali che in Italia è rappresentata dalla Lav. I marchi – da Armani a Gucci a Zara ad H& M – che riconoscono il nuovo “Standard fur-free” sono sempre di più (la lista: furfreeretailer. com), e sebbene la certificazione consideri soltanto l’esclusione di pellicce prodotte con animali allevati o catturati appositamente per l’abbigliamento, è il segnale di un importante cambiamento nelle politiche commerciali. Tant’è che alcuni marchi che pure continuano a vendere pellicce, segnalano la presenza in collezione di prodotti che non comportano sofferenza. Del resto, non imboccare la svolta in un mondo reat- tivo e veloce come quello della moda significa perdere abbondanti fette di mercato. Conquistate in questi anni da brand totalmente animalfree come Save the Duck, che con i suoi piumini salva-oca e politiche totalmente rispettose di animali e natura è un successo consolidato. Una spinta clamorosa e un forte stimolo alla ricerca di nuovi materiali ingegnerizzati per l’abbigliamento. «Che hanno prestazioni decisamente migliori, sotto il profilo del comfort e della sostenibilità»,
spiega Simone Pavesi della Lav.
Meno diffusa è la consapevolezza sull’impatto ambientale della produzione di lana, cashmere e mohair. «Cashmere e mohair non sono più filati destinati solo all’industria del lusso – spiega Pavesi –: ormai vengono prodotti in massa da capre allevate in Mongolia o in Sud Africa, dove gli allevamenti, cresciuti a dismisura, oltre a comportare un’enorme sofferenza per gli animali determinano una percentuale importante di desertificazione ». Quanto alle pecore da lana, vengono allevate in quantità insostenibili e in condizioni inaccettabili. Specialmente in Australia, che è il primo produttore. «Tanto che siamo costretti ad assistere a un paradosso incredibile – sottolinea Pavesi –: i canguri, gli animali più “australiani” che ci siano, vengono ormai considerati “infestanti” perché, secondo gli allevatori, andrebbero a sottrarre terreni alle greggi. Il che sta provocando una vera strage di marsupiali ». Un massacro che rifornisce l’industria del pellame. Secondo i dati della Lav, sono più di 44 milioni i canguri uccisi dal 2000 al 2018: una media di 2.324.711 l’anno. E l’Italia è il primo Paese importatore in Europa di pelli di canguro, utilizzate per le produzioni di alta gamma nel settore della moda e soprattutto dell’abbigliamento sportivo: del motociclismo, per le tute da competizione, perché la pelle di canguro è più sottile e resistente di quella bovina; e del calcio, perché la pelle di canguro è più adattabile al piede. Ma a che prezzo, per gli animali e per il pianeta.
«Si tratta di un massacro di proporzioni dieci volte maggiori della più nota caccia alle foche del Canada, ma scarsamente conosciuto – sottolinea Pavesi –. Per fermare questa mattanza è necessario far venire alla luce quello che avviene in Australia: una caccia brutale che si svolge di notte, nelle sconfinate praterie, lontano dagli occhi del pubblico e senza una possibilità di controllo da parte delle autorità. È necessario che le persone e le aziende sappiano».