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L’indagine su Berlusconi spiegata a Renzi (due articoli)
Matteo Renzi si è detto “attonito” quando ha scoperto con due anni di ritardo che Silvio Berlusconi è indagato per le stragi del 1993. Eppure Renzi quella storia la dovrebbe conoscere bene se non altro perché sulla bomba del 27 maggio a Firenze ha fatto il trailer del documentario Firenze Secondo me. Ovviamente non ha detto in tv nel dicembre 2018 che Marcello Dell’Utri e Berlusconi erano già indagati (dunque innocenti fino a prova contraria) anche per quella strage. L’argomento meriterebbe un approfondimento e un dibattito serio ma resta tabù per Renzi come per la stragrande maggioranza dei politici e giornalisti italiani. Il mondo di Dell’Utri e soprattutto di B. deve restare lontano da quello della mafia, anche solo a livello di ipotesi investigativa. Forse perché “quello del Canale 5”, come lo chiama il boss Gaspare Spatuzza, fa parte da decenni del nostro album di famiglia. Per tutti. E per Renzi ancor di più. Matteo in persona a 19 anni ha vinto 48 milioni di vecchie lire nel 1994 al quiz di Canale 5 La Ruota della fortuna. A raccomandarlo per la prima selezione è stato lo zio Nicola Bovoli, fratello di mamma Laura, amico di Mike Bongiorno. Zio Nicola era un grande imprenditore nel settore dei giochi per finalità di marketing editoriale ed è scomparso lo scorso anno. Negli anni 90 aveva un’impresa a Milano 2 e ha operato nel settore pubblicitario anche con un manager amico di Marcello Dell’Utri come il palermitano Carmelo Antonio Raspa. Matteo è cresciuto con lo zio di successo che chiamava “genio” Berlusconi. A 20 anni, nel 1996, lo imitava con gli amici sul palco del teatro parrocchiale di Rignano sull’Arno. Sul web si può vedere con che gusto il Renzi ventenne fingeva di essere il Cavaliere che diceva “mi consenta” al Costanzo Show. L’unico Costanzo ammesso in questo quadro non è quello dell’attentato di via Fauro ma quello dello show. Comprensibile che Renzi si dica “attonito”. è in buona compagnia. La quasi totalità degli italiani considera assurda l’ipotesi perché non dispone di una serie di informazioni. Non tutti sanno che il leader di Forza Italia è stato già indagato e prosciolto due volte dai pm per le stragi del 1993 e che è stato indagato e prosciolto due volte pure a Caltanissetta per le stragi del 1992. Pochi ricordano che il co-fondatore di Fi, Marcello Dell’Utri, è stato condannato definitivamente per mafia e per la sua attività di mediazione “ai danni di B.”, fino al 1992. Certo, molto probabilmente il fascicolo sarà archiviato anche questa volta. Ma non vuol dire che tutto ciò sia un gioco per magistrati un poco folli. Il fatto è che anche stavolta ci sono nuovi elementi, emersi soprattutto dalle intercettazioni in carcere del boss Giuseppe Graviano nel 2016 e 2017. Quelle conversazioni imponevano ai pm di cercare la verità, in un senso o nell’altro. L’ipotesi di lavoro sembra un meteorite caduto dal cielo solo a chi non dispone del quadro precedente. A beneficio di Renzi e dei tanti “attoniti” incolpevoli, a partire da oggi proviamo a spiegare perché Berlusconi sia indagato per gli attentati del 1993, compreso quello di Costanzo. Questa storia inizia nella seconda metà degli Anni 90 quando per la prima volta, sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, in particolare Salvatore Cancemi e Tullio Cannella, la Procura di Firenze iscrive Berlusconi e Dell’Utri con l’ipotesi che possano avere avuto un ruolo di “mandanti esterni” nelle stragi a Milano e Firenze e negli attentati a Roma del 1993-1994. L’indagine fu chiusa per carenza di riscontri. Passa un decennio e si pente il fedele killer del boss Graviano, Gaspare Spatuzza. Nel 2009 racconta le confidenze del suo boss su Dell’Utri e Berlusconi. I pm lo ascoltano con attenzione perché si è accusato per la strage di via D’Amelio quando nessuno lo sospettava e ha fatto scarcerare molti innocenti. Spatuzza racconta di avere incontrato il suo boss al bar Doney nel gennaio 1994. Gli fu chiesto di fare un ultimo attentato contro un centinaio di Carabinieri il 23 gennaio 1994, allo stadio Olimpico. L’Italia viveva un momento di svolta. I giornali davano per probabile la candidatura di Berlusconi che infatti il 26 gennaio fece in tv il celebre annuncio della discesa in campo. Spatuzza ha riferito che Giuseppe Graviano con espressione felice, “gli disse di avere ottenuto ciò che volevano grazie a ‘persone serie’ subito indicate in Silvio Berlusconi e nel ‘compaesano’ Dell’Utri che aveva fatto da intermediario e che, quindi, si erano ‘messi il paese nelle mani’.”. La sentenza di appello del 2010 del processo Dell’Utri riteneva Spatuzza sul punto non credibile. La sentenza di primo grado sulla Trattativa, che ha condannato nel 2018 Dell’Utri a 12 anni, ribalta la tesi: “Spatuzza è un collaboratore di elevata attendibilità”. Nel 2009 c’erano solo le parole del pentito che riferiva le confidenze di Graviano. Nel 2018, invece, la Corte dispone della viva voce del boss, intercettato in carcere nel 2016-2017. Graviano nei suoi colloqui con il compagno di cella fa più volte riferimento a Dell’Utri e Berlusconi. La Corte richiama anche “i copiosi riscontri acquisiti (ivi compreso quello sulla contestuale presenza a Roma di Marcello Dell’Utri)”. Che vuol dire? La Dia scopre che Marcello Dell’Utri è arrivato a Roma il 18 gennaio del 1994 per alloggiare con i suoi collaboratori e il fratello. Stavano selezionando i candidati di Forza Italia e dormivano tutti all’hotel Majestic di via Veneto. Secondo la Corte, Graviano giunge al bar Doney in via Veneto per incontrare Spatuzza con il cappotto delle grandi occasioni (raggiante per il paese nelle mani grazie a Dell’Utri e B., secondo Spatuzza) il mercoledì 19 gennaio o il giovedì 20 gennaio. Potrebbe essere una mera coincidenza, ma per la Corte sarebbe invece un riscontro al racconto di Spatuzza. 1 (continua)
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A far ripartire le indagini su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per le stragi di mafia tentate e riuscite del 1993-94 a Roma, Firenze e Milano, sono state le famose intercettazioni di Giuseppe Graviano. Il 10 aprile del 2016 il boss è a passeggio con il compagno di detenzione Umberto Adinolfi nel carcere di massima sicurezza di Ascoli. Il siciliano ricorda quando era stato chiamato a confermare le accuse del pentito Francesco Di Carlo, che aveva parlato anche di presunti investimenti del padre di Graviano a Milano: “Nel dicembre 2009 al processo Dell’Utri c’erano i giornalisti di tutto il mondo, te lo ricordi che si preoccupava?”. Graviano si era avvalso della facoltà di non rispondere ma leggeva nel pensiero di Marcello Dell’Utri, presente in aula: “si preoccupava, dice … si chistu pa… a mia m’arrestano subito”.
Graviano quel giorno del 2016 poi spiega di essere adirato per il trattamento subito e propone ad Adinolfi di far arrivare un messaggio minaccioso mediante un intermediario. A chi? Il boss non lo dice ma secondo l’accusa del processo Trattativa, si parlerebbe di Berlusconi. Graviano dice ad Adinolfi che bisognerebbe mandare un uomo a portare un messaggio a un terzo soggetto: “all’uomo ci si fa sapere: dici a Tizio che si comincia a presentare con tutto quello che sa lui”. Adinolfi è scettico. Capisce i rischi dell’operazione.
Graviano prima di fargli la proposta di trovare un messaggero spiega al detenuto campano il contesto, partendo da molto lontano.
Graviano spiega che il nonno materno, Filippo Quartararo avrebbe investito nel 1975 insieme a un suo amico e altri soci in un’attività. Nel 1982, quando muore il padre, Michele Graviano, ucciso dai fedeli di Bontate, Giuseppe comincia a esser messo a parte dei segreti di questi investimenti: “morto mio padre io sapevo qualcosa ma non sapevo tutto” finché il nonno vicino alla morte, quando il nipote è già latitante, nel 1985 gli disse tutto.
A questo punto, Graviano dice: “Io avevo i contatti, giusto? Adesso passiamo a una fase molto delicata (…) a Roma lui voleva già scendere, ‘92 già voleva scendere e voleva tutto ed era disturbato per acchianari (cioé per salire, ndr) lo volevano indagare”. Adinolfi lo interrompe e con fare interrogativo dice: “Misi i luglio”, cioè sembra chiedere al boss: ‘La cortesia che ‘lui’ ti ha chiesto è riferita al mese di luglio 1992?’. Graviano (secondo l’interpretazione dei periti della Corte d’Assise, contestata dalla difesa Dell’Utri) dice: “Berlusca mi ha chiesto sta cortesia ….per questo è stata l’urgenza”.
Poi il boss di Brancaccio passa a parlare di un politico: “Io credevo in questa situazione la popolazione era con noialtri, era innamorata” e in dialetto siciliano ripete: “iddru voliva scinniri in quel periodo c’erano i vecchi, elezioni ri vecchi, e iddru mi dissi ci vulissi una bella cosa”. Il senso sarebbe “lui voleva scendere in politica era disturbato dai vecchi e mi disse: ‘ci vorrebbe una bella cosa’”. Nessuno può sapere esattamente quale sia il senso di questa frase, a parte Graviano, ma un’ipotesi formulata dal pm Antonino Di Matteo, è che “quando Graviano parla di cortesia, teoricamente è possibile pensare che si riferisca a un eccidio, via d’Amelio, in cui è stato uno dei protagonisti principali. Mi rendo conto che sono ipotesi”, ammette il magistrato, ricordando però che “tanti tasselli ci fanno ritenere che la strage di via D’Amelio possa essere stata eterodiretta da ambienti e soggetti estranei a Cosa nostra”. La Procura di Caltanissetta, competente sulle stragi del 1992, però non ha iscritto Berlusconi dopo aver acquisito le intercettazioni sulla ‘cortesia del 92’ fatta da Graviano.
Scelta diversa ha fatto Firenze per le stragi del 1993. Le parole di Graviano sono difficili da interpretare. Il boss potrebbe mentire volutamente per inviare messaggi depistanti. Nato nel 1963, Graviano è stato arrestato il 27 gennaio del 1994 a Milano con il fratello maggiore Filippo e da allora entrambi sono reclusi in isolamento. Boss precoce, scelto come capo del mandamento di Brancaccio scavalcando il primo e il secondogenito, era nel cuore del corleonese Riina nonostante fosse un palermitano.
Il padre, Michele Graviano, era diventato ricco quando i suoi terreni agricoli avevano cambiato destinazione. A Fiammetta Borsellino, che andò a trovarlo a Terni in carcere nel dicembre 2017 sperando di riuscire a smuoverlo, Graviano si raccontò così: “Vengo da una famiglia di possidenti, avevamo una concessionaria Renault a Brancaccio, Motel Agip, attività e terreni. Io andavo a scuola e contemporaneamente lavoravo, avevamo un terreno per costruire, eravamo una famiglia benestante, a 48 anni è morto mio padre … avevo 18 anni”. Fiammetta Borsellino gli chiede: “Come trascorreva la sua vita?”. Il boss replica “io ero latitante (…) non voglio raccontare cose… mi sono trasferito al Nord”. Sostiene che faceva “commercio di carne con dei prestanomi”. Poi spara: “Frequentavo delle persone tra cui Baiardo Salvatore di Omegna sul lago D’Orta dove trascorrevo la latitanza. Frequentavo anche commercianti, familiari e avvocati e personaggi politici, tra cui anche quello … lo dicono tutti che frequentavo Berlusconi ….. più che io era mio cugino che lo frequentava … facevo una vita normale”. Come se fosse normale per un boss stragista frequentare Berlusconi. L’avvocato Niccolò Ghedini, quando svelammo l’intercettazione su www.iloft.it ci disse: “Nessuno ci ha mostrato questa conversazione. Comunque sapeva di essere registrato e potrebbe avere depistato. Non risulta nessun incontro di Berlusconi con Graviano o con qualcuno legato a lui. Tanto meno con un suo cugino”. 2. (continua)