Il Messaggero, 1 ottobre 2019
Intervista a Marina Cicogna
«Un viaggio nella bellezza in quest’epoca dominata dalla barbarie». Così Marina Cicogna, 85 anni insospettabili, nobildonna ed ex produttrice premio Oscar (nel 1970, per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), fotografa e protagonista del jet set internazionale, definisce il suo nuovo libro Imitatio Vitae, prezioso progetto editoriale prodotto da Gucci con la collaborazione della casa editrice Marsilio. Verrà presentato a Roma, domani, presso la Biblioteca Angelica. Protagonisti sono gli spettacolari capitelli marciani di Palazzo Ducale a Venezia, fotografati da Marina stessa o raffigurati nelle immagini dell’Archivio Cameraphoto Arte, e commentati da esponenti del mondo dell’arte, della cultura, del cinema come Marina Abramovic, Urbano Barberini, Liliana Cavani, Saverio Costanzo, Paolo Di Paolo, Ginevra Elkann, Rupert Everett, Pierfrancesco Favino, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, Diane von Füstenberg, Valeria Golino, Salma Hayek, Jeremy Irons, Marie Christine di Kent, Dacia Maraini, Giuseppe Tornatore, Valentino, Ornella Vanoni.
Come nasce questo progetto?
«Tempo fa il regista Pierluigi Pizzi mi fece scoprire, in un sottoscala di Palazzo Ducale, una serie di capitelli trecenteschi smontati e ammonticchiati. Rimasi sopraffatta dall’emozione e decisi di realizzare un libro su quei tesori del gotico italiano. Trovai un interlocutore entusiasta in Marsilio Editore e poi in Gucci che, grazie alla sensibilità del direttore creativo Alessandro Michele, decise di sponsorizzare il progetto. La prima ad aderire è stata Vanessa Redgrave».
C’è stato qualcuno che le ha detto no?
«Il pittore Julian Schnabel: non gli sono bastate le immagini, avrebbe voluto vedere i capitelli di persona».
Perché c’è un cane in copertina?
«È il mio adorato volpino di Pomerania, chiamato Jay in onore di Jaypur, la città del Rajastan che considero, con Rio de Janeiro, uno dei luoghi più belli del mondo».
Dove si annida oggi la bellezza, secondo lei?
«Nei luoghi della nostra Italia che mantengono il loro splendore: come Roma, che dal mio terrazzo a Porta Pinciana vedo libera dalle auto e dal turismo di bassa lega. Bellezza è anche l’incontro con persone intelligenti e divertenti come Valeria Golino, che ho appena avuto a colazione. È l’amicizia sincera, è il rapporto con gli animali che ti danno tutto senza chiederti niente».
Il cinema attuale è capace di esprimere bellezza?
«Non sempre. Mi viene in mente solo la serie L’amica geniale. Quando producevo film, avevo a che fare con giganti come Elio Petri, Lina Wertmüller, Pier Paolo Pasolini, Liliana Cavani che condideravano il produttore un interlocutore prezioso. Non è più così: oggi chi fa il mio mestiere è un semplice procacciatore di finanziamenti».
Non le torna la voglia di ricominciare?
«Smisi di lavorare nel 1971, ritirandomi per quattro anni a Los Angeles sconvolta dal suicidio di mio fratello Bino. Quando tornai, trovai il cinema cambiato, involgarito: funzionavano solo le commedie con Renato Pozzetto che all’estero non interessavano a nessuno».
Fu difficile fare un film eversivo come Indagine, che faceva a pezzi la figura di un poliziotto?
«No, anche se Franco Zeffirelli mi tolse il saluto. Fu più difficile la lavorazione di La classe operaia va in paradiso scandita dai litigi tra Elio Petri, Gian Maria Volonté, lo sceneggiatore Ugo Pirro: s’inseguivano con i coltelli. Metti una sera a cena, invece, non lo voleva fare nessuno, nemmeno Giuseppe Patroni Griffi. E ho ancora sullo stomaco i film che gli americani, con cui lavoravo, non mi hanno permesso di produrre».
Quali?
«Il Conformista, Ultimo tango a Parigi, Portiere di notte. Cercarono anche di impedirmi, per fortuna senza successo, di distribuire Bella di giorno».
Può averla penalizzata il fatto di essere una donna?
«No, ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti, sebbene non appartenessi alla sinistra che dominava nel cinema. Quando Warren Beatty venne a Roma, iniziò a corteggiarmi perché era attratto dalle donne indipendenti e intelligenti».
Avete avuto una storia?
«Per forza, Warren era irresistibile».
Poi lei andò a vivere con Florinda Bolkan in tempi in cui l’omosessualità faceva scandalo.
«Mai posta il problema. Ho vissuto le mie scelte alla luce del sole, non ho mai frequentato ambienti bacchettoni».
Ha mantenuto i rapporti con la Bolkan?
«Purtroppo no, da tre anni è malata e non vuole vedere più nessuno. Mi dispiace molto, abbiamo vissuto insieme 21 anni e farà sempre parte della mia vita».
Cosa pensa del movimento #MeToo?
«Ha esagerato facendo di ogni erba un fascio. Harvey Weinstein si è comportato come quasi tutti i produttori americani, è stato solo più brutale. Ma mettere all’angolo Woody Allen, scagionato da ben due inchieste giudiziarie, o contestare Roman Polanski è semplicemente assurdo».
È sempre amica di Asia Argento?
«Le voglio molto bene ma da due anni non la sento più. Perché ha denunciato Weinstein dopo essere stata con lui? Si è gestita male, purtroppo».
Le manca il suo grande amico Gianni Agnelli?
«Moltissimo. Ci sentivamo ogni mattina, era un uomo affascinante e divertente ma ha cominciato a morire dopo il suicidio del figlio Edoardo».
Qual è il suo più grande rimpianto?
«Aver smesso di fare cinema troppo presto».