la Repubblica, 1 ottobre 2019
Le ronde a 90 anni dello sceriffo Gentilini
Se non fosse per le bestialità che ha sparato negli anni, e qualcuna anche fatta – le panchine tolte per non far “riposare” i “perdigiorno immigrati”, gli extracomunitari “da vestire da leprotti e fare pim pim pim col fucile”, i barconi a cui “tirerei col bazooka”, la “pulizia etnica dei culattoni”, i “bambini zingari da eliminare”, la posa con il cappello da gerarca fascista – le ronde del novantenne "Sceriffo”, al secolo Giancarlo Gentilini, che alla sua età ancora gira per Treviso e segnala al sindaco (leghista) situazioni di degrado, farebbero quasi sorridere. E invece rischiano di diventare uno spettacolo triste. Ma reale.
«La mia era è finita, ma resto lo Sceriffo», disse “Genty” in estate dopo avere spento 90 candeline e festeggiato il secondo matrimonio. Non scherzava. E infatti eccolo di nuovo in pista, l’indomito Gentilini, qui, nella sua Treviso, la città di cui per 18 anni è stato prima sindaco e poi vicesindaco («voglio arrivare al ventennio come ha fatto qualcun altro nella storia», ipse dixit, 2012). La pista, per lo Sceriffo, è la strada. Con i gradi del soldato semplice – è consigliere comunale, indipendente dal 2018 – ogni giorno va in “pattuglia": insieme al suo vecchio assessore Bepi Basso, un fedelissimo, prende appunti, cattura immagini, parla con la gente. «Raccolgo gli ordini dei miei cittadini». «Mi vogliono bene perché mi vedono sempre sul pezzo. La gente ha bisogno di autorità. Per questo molti rivorrebbero il fascismo». Dalla stazione ferroviaria in piazzale Duca d’Aosta al salotto di Piazza dei Signori risalendo ponti e canali, il San Martino, piazza della Borsa, via Roma, via XX Settembre, i mercati rionali: Treviso dentro e fuori le mura. Che hanno 500 anni e che l’ex impiegato di banca Giancarlo Gentilini, da Serravalle di Vittorio Veneto, alpino, avvocato, nostalgico, prima democristiano e poi “federalista italiano”, mai secessionista nemmeno quando Bossi nel ‘96 voleva staccare il Nord dal resto dell’Italia, considera un fortino.
Fuor di metafora. «Il territorio si protegge. Io sono per la tolleranza a doppio zero: rivorrei le ronde coi mitra», dice tra la rituale pausa pranzo alla “Trattoria 2 Mori” e il riposino pomeridiano. Condannato in via definitiva nel 2014 per istigazione all’odio razziale. Scaricato dalla Lega per le critiche al Capitano Salvini («chi sbaglia deve pagare, rifletta sul suo errore boreale»). Gentilini non è finito ai giardinetti. Se ci va è solo per stanare un “capannello di immigrati”. Ha una dottrina e un metodo. La dottrina sono i motti fascisti “dio, patria, famiglia” e “credere, obbedire, combattere” ("e vincere”, aggiunge). Il metodo sono le lettere. Ne scrive ogni giorno. «Diciamo che osservo e segnalo». In cima all’agenda ci sono sempre “gli extra e gli straccioni senza decoro”. Primo destinatario delle missive (anche a prefetto e questore): il sindaco Mario Conte. Leghista salviniano, 40 anni, geometra, seduto da un anno sulla poltrona che per lo Sceriffo era diventata una condizione dell’anima («mi ricandiderei nel 2023, ma ho un’età»). «Conte è un mio allievo, ma deve dimostrare un po’ più di p...». Sarà il cognome, ma il sindaco, pur portando il dovuto rispetto a “Genty” che resta “la nostra anima”, sa che la linea è quella dettata da Gian Paolo Gobbo, plenipotenziario leghista nel trevigiano. «Da tempo Gentilini è fuori dalla Lega», lo ha scaricato dopo l’affondo contro il segretario federale. «Col cavolo – replica lui –, io sono e resterò leghista. Ma in questa Lega non mi riconosco». Ce l’ha con Salvini. «È stato un ingenuo. Non si è ricordato il proverbio “cinque schei de mona fa ben a tutti”. I cinque stelle mica rinunciavano a 18mila euro al mese. Matteo mi ha deluso. Un leader politico non va in spiaggia col cocktail, non esibisce la vita privata. Un ministro che si fa fotografare tra tette e culi: ma scherziamo? Mai tolto giacca e cravatta in vent’anni io, mai andato al mare o in montagna. Il politico ha un ruolo, deve mantenere un contegno». Se gli fai notare che detta da lui è un po’ il colmo, lo Sceriffo rilancia. «Salvini non ha capito una cosa. Il potere non si molla. Mai. Lui l’ha fatto e così, dopo avere strizzato l’occhio ai fascisti, ha consegnato l’Italia ai bolscevichi! Che adesso staranno lì almeno tre anni». Genty ha sempre detto tutto quello che gli passava per la testa. Figuriamoci a 90 anni. «La differenza tra me e il Capitano? L’esperienza. Ha dimostrato di non averne. Io nel ‘38 montavo di guardia da balilla quando Mussolini venne a Treviso a inaugurare l’aeroporto. Mi sono spiegato?».