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 2019  ottobre 01 Martedì calendario

L’isteria del loggione sul Nabucco

Che seratona. Un putiferio del genere non si vedeva dall’ultima Gazza ladra alla Scala, a suo tempo ribattezzata «Gazzarra ladra» e conclusa in gloria da un tizio che dalla prima galleria strillò a un tizio nella seconda: «Scendi che ti spacco la faccia!». Domenica invece si era a Parma, al Regio, per il Nabucco del Verdi Festival doppiato da uno spettacolo-bis, uno sgangherato show loggionistico di rara violenza. Tutta l’opera, dalla sinfonia al finale, è stata contrappuntata da urla, sberleffi, grida, ironie, improperi, imprecazioni e perfino maledizioni della minoranza rumorosa, talvolta in dialetto e sempre arrotando l’elegante «erre» locale. Fischi, però, no: a differenza che a Milano, a Parma si loggiona strillando. E ovviamente provocando la reazione uguale e contraria della maggioranza prima silenziosa e poi sempre più irritata, culminata in un «Buttati giù!» indirizzato a un’erinni vernacola particolarmente schiamazzante che non si è neanche accorta di essere presa per il culatello.
Insomma, due ore e mezzo di bolgia con colonna sonora di Verdi, almeno quel che se ne riusciva a sentire. Gazzarra naturalmente premeditata e pianificata, perché mica vorremmo vedere gli spettacoli prima di stroncarli. Oggetto della contestazione, le solite malefatte registiche, per la circostanza del duo Ricci/Forte, artisti di quel genere che in cretinese si definisce «provocatorio», se provocare significa usare il passato per discutere il presente, per inciso esattamente come faceva Verdi. Macché Babilonia. Tutto si volge in un prossimo futuro distopico dove il mondo è andato definitivamente in malora e i pochi sopravvissuti vivono su una nave orwelliana sgovernata da tiranni populisti che asserviscono le masse con un uso spregiudicato dei media e triturano i libri nelle apposite macchinette (più green che bruciarli come facevano i predecessori). Forte, certo: ma tecnicamente impeccabile e in ultima analisi assai convincente. E invece Ricci e Forte e il resto della combriccola registica sono stati lapidati manco avessero detto che Maria Luigia era una «di facili costumi» (che poi, in effetti...).
Ora, l’episodio è senz’altro derubricabile a tipico folklore locale, patetico residuato di un veterologgionismo isterico ormai fuori dal tempo, un salotto di nonna Speranza della «lirica». I tanti stranieri in sala l’avranno vissuto così, tipo inspiegabile rito tribale, sacrificio propiziatorio, vediamo che dice Levi-Strauss. Però, per quanto rozza nelle motivazioni e violenta nei modi (in fin dei conti, con il biglietto non si acquista soltanto il diritto di fischiare lo spettacolo, ma anche quello di vederselo in pace), la rissa verbale testimonia se non altro di una voglia di partecipazione, di prendere la parola, di «farsi sentire». Che verta su Verdi invece che su argomenti più frivoli o meno importanti come Temptation island o il Conte bis ci fa guardare a questi vecchietti che vogliono difendere Verdi da sé stesso con qualcosa di molto simile alla tenerezza.