La Stampa, 1 ottobre 2019
La malaria in Italia. Storia e numeri
Una malattia debellata ormai cinquant’anni fa che continua a colpire e, in alcuni casi, come nella vicenda drammatica di Alessandria, anche a uccidere. Nonostante l’Italia sia stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità «malaria free» nel 1970, ogni anno nel nostro Paese si registrano in media circa 700 casi, sostanzialmente quasi tutti «d’importazione» (99,8%), ovvero con infezione contratta all’estero, nelle aree in cui la malaria è ancora radicata, dall’Africa equatoriale, a molte zone dell’Asia e dell’America Latina nella fascia tropicale.
«Questo caso, come molti altri, sembrerebbe acquisito in Africa. Ogni anno - spiega Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di Sabità - abbiamo centinaia di persone che si ammalano: turisti che vanno in zone endemiche o persone che si recano nelle stesse zone in visita ad amici o parenti. È chiaro che una persona nata e cresciuta in Italia è suscettibile ad ammalarsi di malaria, quindi è raccomandata una profilassi antimalarica. Il primo episodio infatti può essere molto grave, per esempio una malaria cerebrale, dovuta al plasmodium falciparum. Per questo è importante fare subito la diagnosi e iniziare il trattamento». Davanti ai sintomi che compaiono in una persona appena rientrata da un viaggio in un Paese endemico - febbre alta, brividi, dolore alla schiena, vomito e spossatezza - che possono manifestarsi in un periodo che varia da 7 a 15 o più giorni dalla puntura della zanzara Anopheles infetta, la prima cosa a cui si pensa, spiega Rezza, è proprio la malaria. «La mortalità per fortuna è abbastanza bassa, perché i casi in genere vengono diagnosticati e trattati. Ma è chiaro che due sono i fattori importanti: la capacità diagnostica, e nei nostri ospedali è abbastanza buona, e la rapidità con cui ci si rivolge all’ospedale».
I dati più recenti sulla malaria in Italia, presentati lo scorso anno al Congresso nazionale di parassitologia, sono relativi al periodo che va dal 2013 al 2017: in 5 anni sono stati 3805 i casi di malaria confermati, con un picco di 888 casi nel 2016, e otto decessi, di cui 5 nel solo 2017. A essere colpiti sono stati soprattutto (83%) gli stranieri che vivono nel nostro Paese (l’81% regolarmente residenti), mentre gli italiani rappresentano circa il 17% del totale. La malattia è stata acquisita in gran parte durante viaggi in Africa subsahariana. Dodici casi sono risultati tuttavia di origine autoctona, 7 dei quali si sono verificati nell’estate del 2017. In 4 casi la malattia è stata contratta accidentalmente in ospedali (trasfusioni, trapianti), mentre otto casi sono considerati «criptici», ovvero non è stato possibile risalire all’origine della trasmissione. In Italia, del resto, ricordano gli esperti, esiste un «anofelismo residuo», ovvero la presenza di zanzare Anopheles, veicolo di trasmissione della malattia, in alcune aree.
«Il numero di persone che ancora oggi contraggono la malattia si potrebbe ridurre certamente facendo la chemioprofilassi» sottolinea Rezza, ricordando che farmaci, metodi e tempi di somministrazione cambiano in relazione al Paese visitato, alla tipologia di viaggio e al tempo di permanenza. Una volta arrivati, poi, vanno prese una serie di precauzioni: applicare repellenti sulla pelle, collocare zanzariere alle finestre e sui letti, usare zampironi e fornelletti, coprirsi bene la sera. «Con la globalizzazione e i viaggi rapidi - conclude Rezza - la probabilità che si presentino persone con le malattie più diverse è aumentata, tanto che abbiamo avuto focolai di Chikungunya nel 2017 e durante i periodi estivi teniamo d’occhio Dengue e Zika. Ma sono malattie rare. Quando arriva la malaria bisogna trattarla subito, o si rischia la vita. Resta la regina delle malattie tropicali».