La Stampa, 1 ottobre 2019
L’Arabia Saudita apre al turismo di massa
Hanno visto passare per millenni le carovane dell’incenso dallo Yemen e i pellegrini che da Damasco scendevano verso la Mecca. Le pareti di arenaria rossa sono incise dai graffiti in tutti gli alfabeti delle civiltà che si sono succedute una dopo l’altra. A novecento chilometri da Riad, l’oasi di Al-Ula si stende a perdita d’occhio all’ombra di montagne consumate dal vento, immune all’arrivo del mondo globale. Ancora per poco. Il prossimo solstizio d’inverno, il 22 dicembre, segnerà l’apertura al turismo di massa. È stato aperto un aeroporto che la collega a Gedda e Riad. Nascosti nelle valli incassate crescono nuovi resort. Decine di archeologi hanno allargato gli scavi.
Autisti e guide sfrecciano in fuoristrada nuovi di zecca. Assieme al Mar Rosso e la città vecchia di Gedda, Al-Ula diventerà la punta di lancia del turismo. Entro il 2030 potrà accogliere due milioni di visitatori all’anno, sui 100 previsti in totale. Per una regione grande come la Lombardia e con appena 52 mila abitanti, sarà una rivoluzione che avrà un impatto imprevedibile sulla società beduina.
Una mezza dozzina di famiglie, Al-Balawi, Al-Anazi, Al-Alawi, per secoli si sono spartite le risorse. La ricchezza di Al-Ula, oltre al passaggio dei pellegrini, erano i datteri, compresi i mabrum, i più famosi. La valle è attraversata da una falda acquifera profonda, a 30 a 40 metri. I pozzi alimentano i palmeti, di un verde intenso che contrasta con la sabbia dorata. E’ la conformazione geologica ad aver creato questo miracolo nel deserto arabico. Le montagne sono spugne che raccolgono le piogge violente dell’inverno e lasciano filtrare l’acqua verso la valle. Già i nabatei avevano creato un sistema di pozzi e bacini. Sono fra le meraviglie archeologiche di Madain Saleh.
Come a Petra, i nabatei, fioriti fra il primo secolo avanti Cristo e il primo della nostra era, hanno lasciato tombe maestose, scavate nella roccia, come il complesso di Qasr al-Bint, il castello delle donne. Ogni ingresso è delimitato da due colonne, un timpano e una sfinge dalle ali d’aquila, simbolo delle grandi potenze di allora, l’Egitto e Roma. Unica eccezione è la tomba Al-Farid, «l’unico», che si staglia solitaria in un blocco di roccia gigantesca.
La «Petra» saudita
Al-Ula viene accostata spesso a Petra in Giordania, ma per Ahmed al-Iman, della Royal Commission for Al-Ula, il paragone è «ingiusto». Al-Ula, spiega, «ha molto di più da offrire, è una regione di 22 mila chilometri quadrati, dalla natura incontaminata». La Rcu ha allestito un quartier generale dove lavorano esperti di 17 diverse nazionalità, compresi alcuni italiani. Nuovi scavi stanno portando alla luce due civiltà precedenti a quella nabatea, i Dadan e i Lihyan. Lo studio delle incisioni paleolitiche ha rivelato gli animali che vivevano nella valle, compresi struzzi e onici, reintrodotti di recente.
Al-Ula offrirà safari nelle zone più selvagge, come Sharaan, dove l’architetto Jean Nouvel ha progettato un resort di extralusso. Altri due, più spartani, sono quasi terminati, con stanze a forma di tenda beduina a partire da 500 rial a notte, 130 euro. Parte dell’accoglienza sarà garantita da guesthouse che i proprietari dei palmeti chiamano istihara, i luoghi del relax dei beduini, fontane, tende, datteri, caffè arabo al cardamomo e zafferano. Per Mohammed al-Balawi, con due piantagioni e una guesthouse, questa è «la grande occasione» e non una minaccia alla cultura beduina, perché «è da sempre una cultura dell’ospitalità».
Mohammed non si mostra preoccupato per l’arrivo in massa di stranieri e straniere, che non dovranno più indossare il copriabito nero, l’abaya. L’apertura al turismo è stata preparata per 15 e c’è stato un indottrinamento massiccio da parte del governo che ha convinto gran parte dei conservatori.
Il primo esperimento
Al-Ula è un progetto pilota. Mohammed bin Salman l’ha visitata più volte. Il Big Bang turistico, che punta a ricavare nel 2030 il 10 per cento del Pil dal settore, fa parte di un disegno più ampio per restituire a Riad la leadership nel Golfo, ceduta con l’emergere di Dubai.
I media locali parlano di «quarantennio perduto» dopo la svolta conservatrice seguita al doppio choc dell’assalto alla Mecca da parte di estremisti salafiti e della rivoluzione iraniana nel 1979. L’Arabia Saudita ha 32 milioni di abitanti contro i 9 degli Emirati e i 2,8 del Qatar e produce il quadruplo del petrolio. Negli anni Settanta era il gigante in mezzo a cinque nani, gli altri Paesi del Golfo. «Fino a tre anni fa non c’erano cinema, concerti, parchi divertimento, donne alla guida – conferma una fonte diplomatica occidentale -. Oggi il Paese è irriconoscibile». Molti occidentali si stanno già trasferendo da Dubai e Doha e presto aprirà nella capitale un distretto finanziario.