Libero, 30 settembre 2019
Storie dei genitori dei ragazzi suicidi
Splendeva il sole quel pomeriggio del 16 maggio di quattordici anni fa. Stefania era appena uscita insieme al marito per andare al lavoro, le gemelle stavano facendo l’ultima (...) segue dalla prima massimo sanvito (...) lezione di scuola guida mentre il figlio più piccolo rincorreva il pallone alla scuola calcio. L’unico a casa era Luigi, 17 anni da compiere un paio di mesi dopo. Era passato appena un quarto d’ora da quando i genitori lo avevano salutato e il cellulare di Stefania comincia a squillare. È sua figlia: «Luigi si è impiccato». Il sangue che si gela nelle vene, la voce che trema e i brividi lungo il corpo che ti rendono impotente. La corsa a casa, l’arrivo delle ambulanze a sirene spiegate: Luigi è ancora vivo. I soccorritori del 118 tentano di rianimarlo, ma le sue condizioni sono troppo critiche e poco dopo il ragazzo muore. «Era dolcissimo, andava d’accordissimo con le sue sorelle più grandi, studiava ragioneria e i suoi professori mi dicevano che era il più educato della scuola», racconta Stefania Casavecchia, la mamma di Luigi, che dopo la morte del figlio ha scritto due libri (“Il coraggio del dolore” e il “Coraggio della felicità”) per cercare di aiutare i genitori che hanno vissuto storie simili. Ma cos’è scattato nella mente di Luigi quel giorno maledetto? Soffriva di depressione? Aveva subito una delusione d’amore? Gli amici lo avevano scaricato? Niente di tutto questo. «Non ci ha mai dato nessun tipo di segnale, non sappiamo il perché del suo gesto. I suoi amici mi dissero che qualche giorno prima Luigi aveva attraversato la strada senza guardare e si erano stupiti. Questa è l’unica cosa strana che abbiamo notato, ma a saperlo l’avrei rimproverato e niente più», spiega mamma Stefania. la forza Anche lei ha pensato di farla finita appena il cuore di Luigi ha smesso di battere. Come si fa a vivere dopo aver perso un figlio? Chi ti dà la forza per andare avanti? «Ma in ospedale, quando ho visto le mie figlie distrutte tanto da non stare in piedi, mi sono detta: devo farcela per loro. A salvarmi la vita, poi, è stato un libro dello psicologo Antonio Loperfido, col quale mi sono scambiata decine di mail che mi hanno aiutato moltissimo. Ho preso parti a gruppi di elaborazione del lutto, ma non ho mai fatto psicoterapia». Ora Stefania è presidente dell’associazione A.M.A. (Auto mutuo aiuto) a Ceprano, il suo paese in provincia di Frosinone. Organizza seminari e convegni per informare sulla prevenzione e va nelle scuole per sensibilizzare i giovani sul tema. «Mi scrivono genitori da ogni parte d’Italia: alcuni, come me, hanno perso un figlio, mentre altri intravedono istinti suicidi nei loro ragazzi. La mia è una battaglia affinché cada il tabù del suicidio e se ne parli senza far più finta di nulla». In Italia, dagli anni Sessanta, è attivo il Telefono amico, che grazie a 500 volontari dislocati in venti centri dà ascolto a chiunque provi solitudine, angoscia, tristezza e voglia parlare con qualcuno mantenendo l’anonimato. Ma anche gli ospedali hanno cominciato ad attrezzarsi, a partire dal Bambino Gesù di Roma che ha attivato la helpline “Lucy” attiva tutti i giorni h24 e dedicata specificatamente ai problemi di natura psicologica e psichiatrica di bambini e ragazzi. A chiamare sono soprattutto genitori che faticano a comprendere e gestire le sofferenze dei pargoli e a rispondere è un team di psicologi esperti. Si tratta di vere e proprie consulenze cliniche telefoniche per la prevenzione del suicidio, interventi psicologici basati sull’ascolto dei problema. Dopo aver preso tutte le informazioni del caso, gli psicologi valutano la soluzione più adatta. disperazione C’è la famiglia di Marco che telefona disperata mentre il figlio è affacciato alla finestra e minaccia di buttarsi giù perché non ce la fa più, oppure la mamma di Stefano che è preoccupata perché il suo ragazzo nella stanza a fianco sta spaccando tutto. Nomi inventati, ma storie vere che sono arrivate alla linea d’aiuto da genitori in difficoltà che in quei momenti sono spaventati e attanagliati dall’angoscia. Altri genitori chiamano terrorizzati per i cambiamenti che stanno investendo i figli: dall’essere brillanti a scuola e pieni zeppi di amici al rinchiudersi in casa e diventare aggressivi. Perché? «Riceviamo tra le 150 e le 300 chiamate al giorno, anche se spesso non si tratta di emergenze. I disturbi mentali crescono e si alimentano nel tempo: parliamo di comportamenti tipici dell’adolescenza, ma quando diventano particolarmente invalidanti arrivano a condizionare fortemente i ragazzi», spiega Stefano Vicari, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza al Bambino Gesù. «Rispondendo alle chiamate dei genitori diamo indicazioni su come gestire la situazione e in casi di pericolo allertiamo il 118. Sono rari i casi in cui chiamano i ragazzi in prima persona. Spesso si tratta di giovani depressi, tristi, che si sentono soli e hanno bisogno di parlare con qualcuno per capire cosa gli stia succedendo. Diverse telefonate, inoltre, le riceviamo da ragazze anoressiche che ci raccontano le loro difficoltà nel mangiare e vogliono sapere se devono cominciare a preoccuparsi».