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 2019  settembre 30 Lunedì calendario

Biografia di Eduard Strel’cov, il Pelè sovietico

«Ecco qui, è solo una formalità, firma questa confessione e sei libero di andare a giocare il Mondiale. È un’autorizzazione che arriva direttamente dal Cremlino, c’è l’approvazione di Nikita Sergeevic Chruscev... Firma».
Carcere di Butyrskaja nel quartiere di Tverskoj, il più grande complesso di detenzione a Nord del centro di Mosca, l’inferno in terra. Due agenti del Kgb si presentano davanti alle guardie carcerarie, devono far firmare un documento a Eduard Anatol’evic Strel’cov, il centravanti della Torpedo. Strel’cov è stato arrestato il mattino del 26 maggio 1958 con l’accusa di violenza carnale. Strel’cov ci casca e firma.
Questa è una storia vera per chi crede che solo in questi ultimi decenni l’establishment e le frange estremiste del tifo si siano impossessate del calcio.
Eduard Strel’cov ha 21 anni, è bello, alto, possente, con un volto da adolescente incorniciato da riccioli chiari, adorato dalle ragazze di tutta la Russia. È il Pelè bianco, l’attaccante più forte in circolazione, raffiche di reti e colpi di tacco, ha vinto da solo i Giochi di Melbourne, al ritorno in patria ci sono migliaia di tifosi che urlano il suo nome e il regime ne vuole fare un simbolo: «Esalta il pallone come il socialismo esalta l’Unione». Ma ha rifiutato il trasferimento allo Spartak, il club del popolo, poi alla Lokomotiv di proprietà del Ministero dei Trasporti, al Cska, la squadra dell’Armata Rossa, e da pochi giorni anche quello alla Dinamo, diretta emanazione dei servizi segreti del Kgb. Non vuole diventare un soldato dell’esercito e neppure un agente dei servizi segreti e questo rifiuto non è piaciuto al partito. Gioca nella Torpedo e non vuole lasciarla. È il club delle rappresentanze sindacali della Zil, Avtomobil’noe Moskovskoe Obscestvo Zavod Lichaceva, una piccola industria che produce autobus, blindati, motoslitte e un numero limitato di limousine e berline destinate ai rappresentanti del governo.
I dirigenti della fabbrica se l’erano ritrovato davanti a 15 anni, aggiustava motori e sognava di comprarsi una motocicletta per conquistare le ragazze. Finito il turno andava sul campetto dietro la Zil a tirare due calci al pallone con gli altri operai e tutti si erano accorti subito che tipo fosse, uno spaccone che aveva lasciato presto la scuola ma un fenomeno con la palla fra i piedi. Gli offrono di aumentargli la paga se accetta di giocare nella squadra della fabbrica, lui rifiuta, gli regalano una moto e lui accetta. Per poco, arrivano quelli della Torpedo, più rubli e una Izh-56 da sogno, con il telaio non più stampato, il motore da 13CV, i coperchi curvi delle ruote e il sedile in gomma. Firma e il club inizia a battere tutti, Lokomotiv, Cska, Spartak e Dinamo, e Strel’cov a soli 17 anni è il capocannoniere. 
Ma il rifiuto ai rubli dei grandi club della capitale è una macchia indelebile, il regime, la federazione e i tifosi delle altre squadre di Mosca non lo vogliono vedere con la maglia della Nazionale, non lo vogliono vedere neppure in campo, pressioni enormi, e allora scatta la trappola, alla prima Strel’cov se ne pentirà.
Il pomeriggio del 25 maggio del ’58 la Nazionale è in ritiro premondiale, Strel’cov esce, non si è mai saputo se autorizzato, per andare alla dacia di Eduard Karakhanov, un militare reduce dalla campagna in Medio Oriente. È una festa, ci sono le autorità, la stampa, anche Yekaterina Purtseva, l’unica donna presente nel Politburo di Krusciov e sua figlia è perdutamente innamorata di Eduard. Yekaterina con in mano un drink lo avvicina, gli confida l’amore della figlia e all’improvviso gli chiede: «La sposerebbe?». E lui: «Ho già una fidanzata, non intendo lasciarla». La festa continua, un amico gli chiede di cosa abbia parlato con la Purtseva e Strel’cov: «Non sposerei mai quella scimmia di sua figlia». Ha visto la sua foto sui giornali e non gli piace, tutto qui, ma troppe vodka e troppe orecchie in agguato. Rientra in ritiro a tarda notte, alle prime luci del mattino viene arrestato assieme ad altri due compagni di squadra per aver abusato della diciannovenne Marina Lebedeva alla dacia di Karakhanov, ubriachi loro e ubriaca lei. L’accusa è grave e ad aiutarlo non c’è neppure il suo amico più caro, il giornalista Aleksej Dujiliv. Sempre assieme, nei locali, alle feste, si dividono tutto, anche le donne. Ma una notte trovano la fidanzata di Aleksej annegata nella Moscova e finisce in Siberia con l’accusa di omicidio. Un primo avvertimento per Strel’cov. Quel giornalista ne esaltava le gesta, faceva innamorare anche la gente che non lo aveva mai visto giocare, la nazione dopo le purghe staliniane aveva bisogno di un eroe della rinascita, ma un eroe amato dai tifosi e inquadrato nel regime, e Strel’cov non lo è. Carismatico, anarchico, inviso a dirigenti e tifosi dei club che contano, per la stampa di regime è uno stiljaga, decadente, è colpevole, cattivo esempio per le nuove generazioni, risse, alcol e uno stile di vita troppo occidentale. 
In carcere i compagni di quella notte nella dacia lo convincono a prendersi tutte le responsabilità, tanto a lui non faranno niente. Loro vengono liberati, lui firma quella confessione ma non va in Svezia per il Mondiale del 58, finisce in un gulag a meno 15 gradi a Tula in Siberia, dodici anni per aver violentato la Lebedeva. Ne farà sette, appena esce dal gulag getta nella neve il giaccone, ci sono decine di giornalisti: «Edik, quando ti sei accorto che le cose stavano iniziando a girarti male?» E lui: «Non lo so, ho sempre avuto tre passioni, calcio, alcol e donne. E non necessariamente in questo ordine. Il resto non mi ha mai interessato».
Torna e riprende a giocare nella Zil sotto falso nome, le fa vincere il campionato ma nelle partite importanti lo tengono in panchina per paura che il regime si accorga della sua presenza. È un buon rodaggio fino al giorno del grande ritorno, Brezhnev lo autorizza a scendere in campo, nel 1965 gioca ancora con la Torpedo, più forte di prima, vince il campionato, miglior giocatore russo per due anni consecutivi, segna altri 53 gol fra infiniti colpi di tacco.
Il più grande inganno nella storia del calcio russo. Eduard c’ha lasciato per un cancro alla gola contratto mentre lavorava in miniera a estrarre il quarzo, ancora oggi ogni colpo di tacco in Russia si chiama Streltsov. Decine di gol accarezzando la palla in mezzo all’area dove non lo spostavano neppure i carroarmati, la Torpedo gli ha intitolato lo stadio, due monumenti lo ricordano a Mosca e sulla sua tomba sempre fiori freschi lasciati dalla Lebedeva, anche lei solo una pedina.