Corriere della Sera, 30 settembre 2019
Intervista a Fabio Rovazzi
Altro che senza pensieri. Per la testa di Fabio Rovazzi ne passano mille. Non ultimo quello per i lavori di casa. «È piccola, non ha un grande valore immobiliare, ma ci sto facendo interventi da circa un anno e mezzo. Sarà iperconnessa: ho dovuto controsoffittare tutto per far passare i cavi. Quando sarà pronta, fra studio insonorizzato e impianto per il cinema, non uscirò più», racconta dietro ai suoi baffi.
«Senza pensieri» è la canzone con cui Fabio ha attraversato l’estate. Il senso del brano e del video non era un inno al relax e allo staccare il cervello. «Non è lo “staje senza pensier” di Gomorra, è proprio sulla mancanza del pensiero inteso come ragionamento. Volevo essere tagliente, ironico, ma qualcuno non lo ha colto... Nel video un robot viene mandato dai “cattivi”, tra le cui fila c’è Loredana Bertè, a privarmi di quella capacità», spiega fra una svapata e l’altra. «È il mio modo per raccontare che provo invidia per chi è poco consapevole, per quelli che non si rendono conto dei problemi che li e che ci circondano. Immagino che se dai priorità a cose futili finisci per essere più contento e sereno, ma forse meno utile al mondo».
Cosa fa Rovazzi, punta il dito, si mette a fare la lezioncina?
«Noooo. Io provo a informarmi. A dare importanza a quello che credo sia veramente importante. Il mondo ci porta a dare attenzione alle cavolate. Penso di avere una consapevolezza e una delicatezza verso le cose, ma non voglio passare per quello che si loda. Anche perché nessuno, anche chi ci casca in quel meccanismo, direbbe mai “il centro della mia vita è il nulla”».
I social network spesso sono il nulla, ma sono anche parte del suo lavoro. Lei ha 1 milione mezzo di follower su Instagram e viaggia a colpi di decine di migliaia di cuoricini ad ogni post. Come vive il suo lato virtuale?
«Sui social ci sono e non ci sono... faccio stories quando sono tranquillo e ho grandi momenti di buio quando sono preso dal lavoro. Sono degli amplificatori di un messaggio. Non me ne frega nulla però dei like. Non hanno un valore commerciale e le azienda stanno iniziando a capire che non sempre si trasformano in vendite o in qualcosa di positivo per un prodotto. Vado oltre e dico che i like non hanno nemmeno un valore umano».
Di recente è intervenuto per difendere la fidanzata Karen Kokeshi (vero nome Rebecca Casiraghi) dagli insulti degli hater.
«Lei non è abituata al confronto con una platea nazionalpopolare come quella che l’ha conosciuta attraverso me e la nostra relazione. Ho visto che stava soffrendo un po’ per la situazione e mi sono messo davanti».
Lei conosce bene la rete. Ha cominciato con i video virali su Facebook e nel 2016 ha centrato il tormentone «Andiamo a comandare», prima canzone a conquistare il disco d’oro solo con lo streaming in un’era in cui c’era ancora il download. Cosa ricorda?
«Quando abbiamo pubblicato il brano ero terrorizzato. Pensavo che nessuno se la sarebbe comprato, che nessuno avrebbe speso dei soldi per uno sconosciuto. Così ho suggerito di metterlo solo sulle piattaforme streaming».
Quando ha capito che stava funzionando?
«Me ne sono accorto quando mi sono visto taggare in un video in cui migliaia di persone ballavano la canzone su una spiaggia in Puglia. Lì ho capito che qualcosa era andato fuori controllo. Ero in vacanza a Ibiza, felice e spaventato. È stato faticoso trovarsi al centro dell’attenzione. Però è stata anche una svolta personale: ho capito che potevo essere interprete delle mie idee».
C’era J-Ax in quel video, e c’è anche nell’ultimo.. che rapporto avete?
«C’era anche prima di Andiamo a comandare. Mi aveva notato su Facebook. È stata la prima persona che mi ha chiamato al telefono e mi ha offerto qualcosa. Mi chiese di partecipare al programma tv Sorci verdi. Usciamo spesso a cena insieme, siamo due nerd pazzeschi e ci teniamo aggiornati sulle ultime novità tecnologiche. Ne abbiamo passate tante e siamo rimasti amici senza mettere in mezzo il lavoro. Purtroppo non sempre ci si riesce».
Ai tempi girava con la maglietta «Non sono un cantante». E lo è sempre meno. In coppia con Pippo Baudo ha presentato Sanremo Giovani: le piace la tv?
«Quell’esperienza mi ha acceso qualcosa dentro. Ho delle idee, ma devo fare ancora gavetta».
La sua faccia marchia gli spot di una compagnia telefonica e di una casa automobilistica.
«Uno spot per me non è essere presente e recitare due battute. Oltre ad essere testimonial, gestisco anche la creatività di quelle campagne pubblicitarie. Così mi sembrano un po’ meno marchette. Ho portato a bordo del progetto anche Maccio Capatonda che si occupa della regia. Adesso vorrei creare una struttura imprenditoriale per lavorare creativamente a fianco di altri brand, senza necessariamente metterci la mia immagine».
Lei fa canzoni per girare video che hanno il budget di un intero album di un artista di prima linea.
«L’obiettivo non sono le visualizzazioni su YouTube o gli ascolti sulle piattaforme di streaming, ma tirare fuori un prodotto che sia il più bello possibile».
Ha sempre dichiarato un grande amore per il cinema. Sul grande schermo per ora ci ha messo la faccia, come protagonista di Il vegetale di Nunziante e sarà anche ospite della prima puntata della nuova serie di «Don Matteo». Il suo futuro è lì?
«Una passione che arriva da mio padre. Da piccolo mi faceva vedere film come Ritorno al futuro, tutti i Monty Python, Star Wars ma pellicole per adulti come Shining. Da lui ho preso anche l’amore per la musica attraverso gruppi che andavano dai Led Zeppelin a Elio e le Storie Tese».
Papà se ne è andato che lei aveva 16 anni. Lo ha ringraziato in diretta dal palco di Sanremo...
«Ho scritto quel monologo la mattina stessa. Ho fatto mettere sul gobbo anche quel passaggio perché mi emozionava ma non sapevo se lo avrei recitato. Lui non c’è più e siccome non so come funziona la comunicazione fra terreno e ultraterreno ho pensato che con tutto quello share forse qualcosa gli sarebbe arrivato. Sembra una battuta ma sono serio. Mi manca ma penso che lui sia il motore di tutto quello che faccio. Era un medico specializzato in dermatologia ed era ammalato di cinema. Forse avrebbe voluto vedermi dottore come lui, ma ho avuto la fortuna di trovare una strada professionale seguendo una passione. Non capita a tutti. E quella passione me l’ha messa in testa lui».
Una regia firmata Rovazzi?
«Sto lavorando a un progetto impegnativo e ambizioso ma non ancora concreto. Sono nato ed esploso nel momento sbagliato per il cinema. O fai film tipo Avengers o la gente non viene a vederti. In più, in Italia c’è sfiducia da parte del pubblico verso il nostro cinema. Dall’altra parte ci sono le piattaforme di streaming. Sono nel limbo... Da che parte vado? Cosa faccio?».
Ricordi d’infanzia?
«Un momento, quello sì, senza pensieri, con meno responsabilità e meno problemi. O forse no... Mi ricordo ancora il primo bacio alle elementari: era già una cosa seria e consapevole».
Adesso ha 25 anni. Appartiene alla generazione prima di Greta Thunberg. Che ne pensa?
«Una volta si andava in piazza a manifestare e mi piace vedere che i ragazzi ci stiano tornando. L’ecosistema è qualcosa di collettivo però non riesco a capire se ci sia una sensibilità reale o se si postino le foto dell’Amazzonia che brucia e basta. Però penso anche che se è difficile fare qualcosa come singoli, queste cose possono servire a muovere le acque e far arrivare un messaggio alle persone che possono intervenire».
Sta già lavorando al prossimo tormentone estivo?
«La gente pensa che i personaggi da tormentone ad aprile rimangano senza soldi e debbano ingegnarsi. Mi diverte leggere quei commenti stupidi tipo “hai fatto la canzone perché dovevi pagare il mutuo?” e lo faccio dire anche ad J-Ax nella canzone. In realtà non mi fermo mai. Finite le vacanze sono tornato allo stress e alle riunioni. Mi lamento, ma alla fine è quello che mi piace».